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Il Club House Sandwich: storia e ricetta

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Nella ristorazione i sandwich ricoprono un ruolo molto importante: panini a più strati (rigorosamente pane in cassetta) ripieni con tanti ingredienti; alcuni sandwich sono stravaganti ed altri unici, si può dire addirittura storici.
E’ il caso del Club Sandwich, uno dei panini più internazionali del mondo. 
Quanto è importante conoscere questo panino?
Per un operatore della ristorazione è fondamentale conoscere le preparazioni culinarie più diffuse ed apprezzate. In questo caso specifico, il Club Sandwich è un classico, molto richiesto negli hotel e nei Club privati.
La storia
Il panino sembra essere nato intorno la fine del 1800, ideato dal cuoco americano Danny Mears, dipendente del Saratoga Club-house di Saratoga Springs (New York).  Edoardo VIII, successore al trono di Inghilterra (a cui rinunciò nel 1936 per  sposare la “borghese” Wallis Simpson) era goloso di Club Sandwich, tanto da (quasi) pubblicizzarlo; dichiarava infatti che il Club Sandwich era il suo piatto preferito. La ricetta più vecchia mai scritta risale al 1903 edè  riportata nel libro “Good Housekeeping everyday cook book” di Isabel Gordon Curtis.
Edoardo VIII, il sovrano che antepose l’amore al suo regno
INGREDIENTI: (per 1 club sandwich)
  • 3 fette di pane in cassetta;
  • 100 g. di petto di tacchino;
  • 4 fette di pomodori;
  • 4 fette di bacon;
  • 2 foglie di lattuga;
  • maionese;
  • senape;
  • sale;
  • pepe;
  • 4 stuzzicadenti;

PROCEDIMENTO:
La prima cosa da fare è tostare il pane (su entrambi i lati), ma non troppo.
Possiamo ora passare alla cottura del tacchino. La ricetta classica prevede cottura su piastra e taglio in piccoli tocchetti. A me personalmente piace cuocere il petto su piastra e poi tagliarlo in fette sottili.
Stendere le tre fette di pane tostato, su due fette stendiamo maionese, su una solo senape.
Poi su una fetta posiamo una  foglia di lattuga, una di pomodoro (condire il pomodoro con poco sale e pepe). Adagiare due fette di bacon e qualche fetta di tacchino. Sovrapponete la seconda fetta di pane e ripetere la farcitura con tutti gli ingredienti usati prima. Infine, chiudere il panino con l’ultima fetta.
Il classico modo per presentare il Club Sandwich è quello di tagliarlo in due (in diagonale) e ricavare quindi due mezzi panini triangolari, chiusi con uno (o più) stuzzicadenti.
Possiamo servirlo accompagnato da qualche chips croccante e qualche salsina (nella foto in basso abbiamo realizzato una maionese alla paprika).
Club Sandwich realizzato dai miei allievi
durante l’esercitazione di laboratorio a scuola
Presentare un Club Sandwich
La ristorazione è un universo che si trasforma, in continua evoluzione.
Ecco, quindi  esempi su come presentare il Club Sandwich:
aggiungendo altri strati tutto diventa più goloso ed il panino diventa una vera e propria portata

riducendo le dimensioni, il Club Sandwich diventa un fantastico appetizer

in versione sushi

oltre il classico pane bianco

Video – Cerchi argomenti per la matura?

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Stavi cercando argomenti per la tesi di Maturità?
E scommetto che sei un alunno di un istituto alberghiero (Istituto Professionale per i Servizi Enogastronomici e l’Ospitalità Alberghiera)!!

Vai alla scoperta del mio blog, potresti trovare l’argomento che fa per te.
Tanti gli argomenti trattati:
- catering e banqueting;
- franchising;
- finger food;
- la cucina futurista;
- la cucina molecolare;
- le bibite nella ristorazione;
- la cucina kosher;
- eros e cibo;
- e tanto ancora……….
Vai direttamente all’articolo “ARGOMENTI PER L’ESAME DI MATURITA

Commenta in basso per ulteriori informazioni.

Come decorare un cocktail: alcune regole

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Riesci a creare uno splendido cocktail eppure non sai come decorarlo?
Anche nell’universo dei cocktails l’occhio vuole la sua parte. Non è difficile realizzare decorazioni ma occorre seguire delle regole precise perchè nulla va improvvisato, mai.

Purtroppo come avviene per altri aspetti, anche l’aspetto decorativo a volte viene trascurato. Troviamo bar dove la decorazione è assente oppure altri dove per non curanza o fretta realizzano decorazioni davvero bruttine.

Perchè decorare un mix drink?
Decorare un cocktail permette di alzare il livello qualitativo (e quindi anche l’aspetto economico) e permette di distinguersi da altri competitors. Nell’era dei social occorre creare qualcosa che possa essere fotografato e condiviso dai clienti (una pubblicità quasi a costo zero).
un’elegante fetta d’arancia
non sempre occorre essere eccessivi, a volte basta poco
Le regole per decorare un cocktail:
Semplici regole, perchè la decorazione è soggettiva, un momento che tira fuori l’estro creativo, il senso del gusto e del bello dall’operatore. 
 
girandola con buccia di limone composta asssieme a foglie di ananas
Qui riporto le regole (per me) fondamentali:
  • proporzionare la  decorazione al bicchiere (una decorazione troppo piccola o troppo grande può far perdere interesse al consumatore);
  • la decorazione deve essere sempre commestibile;
  • in un’azienda occorre la standardizzazione e la riproducibilità. Ogni decorazione va quindi abbinata al tipo di cocktail realizzato e deve essere facilmente riproduttibile (per tempo e nel tempo);
  • non eccedere nei costi (le decorazioni non devono influire troppo sul prezzo finale). Possiamo quindi usare la parte della frutta non usata per la realizzazione del cocktail come ad esempio scorze di agrumi e foglie oppure prediligere frutta di stagione a basso costo); 
  • la decorazione deve essere ben salda al bicchiere (se posizionato sul bordo);
decorazione elementare ma che risponde alle regole
un’evoluzione della tecnica precedente, sempre low-cost

Ecco alcune foto di decorazioni (secondo me) eccessive e troppo…..:

decorazione a mio avviso decisamente inquietante
decorazione che puo’ non piacere a tutti e che non è facilmente riproducibile
un concetto di decorazione un pò oltre..
decorazione carina ma che copre troppo il bicchiere

Armonia o contrasto?
Per quanto riguarda l’abbinamento della decorazione al cocktail, possiamo crearne una che sia in sintonia oppure in contrasto rispetto al colore della bevanda miscelata.

decorazione semplice ma d’effetto realizzata con una verdura
Ad ogni drink la sua decorazione
Sappiamo che i cocktails si suddividono in tipologie\famiglie. Occorre quindi che la decorazione sia adatta al tipo di cocktail per il quale viene realizzata
==> SHORT DRINK
Non bisogna esagerare nella decorazione. Prediligere cipolline, fragoline, olive e bucce di agrumi (per ricavarne gli olii essenziali, gli aromi delicati). Possiamo decorare con spezie, creme sulla superfice o sul bordo del bicchiere oppure spolverare spezie. Ultimamente si utilizzano anche fiori eduli e foglie di piante aromatiche.
come rendere piacevole anche un rametto di rosmarino
elegante e riproducibile
==> PRE-DINNER 
Solitamente decorati con verdura e frutta (rigorosamente fresca e non matura). A volte troviamo anche abbinamenti con decorazioni agrodolci e con sottoaceti.
elementi composti, freschi e belli da vedere
==> AFTER-DINNER
Per la decorazione di questa categoria largo uso di spezie, erbe ed essenze. Oltre possiamo usare frutta o crema di latte.
un esempio con menta fresca e crema di latte e baileys
 
==> LONG DRINK
Per questa categoria di cocktails si usa (quasi) sempre frutta fresca, da aggiungere all’interno del mix drink oppure da appoggiare sul bordo del bicchiere. Spirali di agrumi, menta fresca oppure frutta intagliata.
come rendere una mela un petalo di fiore
l’importanza della stabilità
questo tipo di decorazione deve essere ben eseguito altrimenti potrebbe cedere

==> LE BRINATURE
Detto anche effetto crusta. Si ottiene utilizzando principalmente zucchero oppure sale, caffè, cioccolata, cacao e granelle (di noci o amaretto)
con granella
con confettini colorati

==> FRUTTA E VERDURA SCAVATA ED INCISA
Con pochi e semplici tagli è possibile trasformare un (potenziale) scarto in una decorazione, magari un bel fiore.

una farfalla ottenuta da buccia di agrume
simpatica decorazione low-cost
una melanzana che si trasforma in un fiore

un ciuffo di Ananas
Spazio alla fantasia
In questo post hai trovato numerose foto e se segui le poche regole che ti suggerisco potrai realizzare decorazioni a basso costo, semplici e di grande eleganza e bellezza.
Ma ognuno deve tirar fuori ciò che ha in mente, quindi spazio alla fantasia. A volte occorre anche stravolgere alcune regole e concetti….
con la giusta tecnica è  possibile realizzare anche decorazioni alte e stabili
COMMENTA se hai trovato interessante quest’articolo, allega magari una decorazionee creata da te oppure suggerisci una decorazione.

Frico: storia e ricetta

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Friuli, terra di sapori unici, sapori a volte sconosciuti al resto d’Italia.
Il frico è un piatto nato in Carnia (zona montuosa della regione Friuli Venezia Giulia).
Le prime ricette scritte risalgono intorno alla metà del 1600.
Non esiste una vera ricetta, ogni famiglia friulana conserva gelosamente la propria ricetta.
E’ una preparazione alle volte “strategica” in quanto è possibile utilizzare le croste del formaggio.
Oggi il Frico in Friuli si realizza sono un tipo di formaggio molto importante: il MONTASIO, un formaggio D.O.P. dal sapore unico e gustoso.
A questo si aggiungono le patate (e volendo le cipolle).

INGREDIENTI:
  • 500 g di patate;
  • 500 g di Montasio;
  • 200 g di cipolle;
  • Pepe nero q.b.;
  • sale q.b;
  • Olio q.b.;

PROCEDIMENTO:
Il frico può essere realizzato sia in forno che in padella antiaderente.
Se scegliete la prima versione, basta foderare una teglia con carta forno.
Se scegliete la seconda versione, occorre versare olio. Fate dorare le cipolle a julienne e poi fatele stufare con un cucchiaio di acqua calda. Dopo circa 10 minuti, aggiungete le patate lessate in precedenza (e schiacciare con lo schiacciapatate). Aggiungete poi il Montasio grattugiato e fate amalgamare sul fuoco. Se occorre regolate di sale e pepe, mescolate per bene e poi alzate la fiamma.
Dovrà formarsi una crosticina su entrambi i  lati. Quando sarà pronto, prima di servirlo, asciugatelo con un panno assorbente.
Servite e mangiate ancora caldo.

Gubana: dolce tipico friulano

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Non tutti hanno avuto il piacere di assaporare la GUBANA.
Si tratta di un dolce tipico della regione FRIULI VENEZIA GIULIA, realizzato con impasto simole a quello brioche (oppure uguale).
Sostanzioso e molto buono, si presenta con una forma a spirale che racchiude strati di goloso ripieno: frutta secca, biscotti, liquore, scaglie di cioccolato, cacao (esistono diverse versioni).

STORIA DEL NOME
La Gubana nasce nelle Valli del Natisone, a pochi chilometri da Udine. Le origini del nome sono varie. Sembra derivare da “gubanata” che in Friulano significa “avvolgere“. Il nome potrebbe anche derivare da “guba” che in slavo significa “piega“. 
INGREDIENTI:
(per l’impasto):
  • 600 g di farina manitoba;
  • 120 g di latte intero;
  • 180 g di panna fresca;
  • 140 g di burro a temperatura ambiente;
  • 15 g di lievito di birra fresco;
  • 180 g di zucchero semolato;
  • 2 uova;
  • la scorza grattugiata di un’arancia e un limone;
  • 8 g di sale;
  • un cucchiaino di estratto naturale di vaniglia;

(per l’interno, il ripieno):
  • 40 g di burro;
  • un uovo;
  • 220 g di uvetta;
  • 120 g di biscotti secchi;
  • 50 g di nocciole tostate;
  • 40 g di arancia candita;
  • 100 g di vino dolce;
  • 20 g di miele;
  • 80 g di noci sgusciate;
  • 20 g di pinoli;
  • 80 g di mandorle sgusciate;
  • 100 g di zucchero semolato;
  • 70 g di cioccolato a scaglie;

PROCEDIMENTO:
Con l’aiuto di una planetaria, lavorate la farina aggiungendo il latte caldo (in cui avrete fatto sciogliere il lievito. Poi aggiungete le uova. Continuate l’impasto e incorporate anche lo zucchero, il sale e gli aromi.
Incorporate poi il burro leggermente ammorbidito. Quando l’impasto si presenterà liscio, avvolgetelo in pellicola e fatelo riposare in frigo.
In questo tempo di attesa potete iniziare a preparare il ripieno: frullate in un cutter tutto gli ingredienti (oppure tritate a mano con l’ausilio di un coltello).
Ora dobbiamo procedere a riempire l’impasto. Su un piano infarinato stendete la pasta a forma di rettangolo e distribuite il ripieno. Poi arrotolate e formate una spirale.
Posizionate su uno stampo (foderato con carta forno).
La gubana deve lievitare per circa 2 ore, poi potete procedere ad infornarla in forno statico già caldo a 160°C. per circa un’ora.
Per rendere la superficie più dorata potete spennellare del tuorlo d’uovo.
Quando sarà pronta, fate intiepidire e servite.
Che profumo!!!!

Fonduta di Montasio

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Per fonduta intendiamo sempre una crema di formaggio delicata. Con questa crema è possibile accompagnare svariati antipasti salati.
La fonduta al Montasio D.O.P. ha un sapore delicato che ben si accompagna sia a verdure che carne.

INGREDIENTI:
  • 300 ml di latte;
  • 200 g di formaggio Montasio stagionato 3 mesi;
  • 20 gr farina;
  • 30 gr burro;

PROCEDIMENTO
In una pentola portiamo a bollore il latte. Quando bolle, spegniamo la fiamma e grattugiamo il formaggio. Mescoliamo.
In un’altra pentola capace prepariamo un roux con burro e farina.
Versiamo poi il latte poco alla volta e a fiamma bassa, cuociamo.
La crema dovrà risultare liscia. Controllare se occorre aggiungere sale.

Come si fa il Parmigiano Reggiano? Visita in azienda

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Mi trovavo in Emilia Romagna per un Concorso tra istituti alberghieri. L’organizzazione ha ben pensato di farci visitare un Caseificio appartenente al Consorzio Parmigiano Reggiano.
Che esperienza fantastica!!
Così, dopo qualche giorno scrivo questo post per condividere con voi lettori questa bella giornata tutta MADE IN ITALY
Il Parmigiano Reggiano è un prodotto a Marchio D.O.P. Clicca qui per scaricare il disciplinare

Vuoi saperne di più sui prodotti tipici ed i marchi a tutela? CLICCA QUI

All’ingresso veniamo accolti da un responsabile che ci fa indossare abiti monouso, cuffiette e mascherina. HACCP style, insomma.

E’ un vero peccato che non possiate sentire l’odore del latte fresco e del formaggio (a qualcuno puo’ non piacere, lo so).

Il nostro Cicerone ci spiega che ogni giorno arriva latte fresco tutto italiano che viene messo a riposare in grandi vasche per tutta la notte. In questo modo avviene l’affioramento spontaneo della parte grassa. Il mattino dopo a questo latte “scremato” si aggiunge quello intero proveniente da una mungitura mattutina.

Poi il latte va versato in queste enormi caldaie di rame a forma di campana rovesciata. Ogni “campana” contiene 1200 litri di latte.

Da ogni caldaia vengono fuori 2 forme di Parmigiano Reggiano, sempre.

  

Il latte si scalda e poi il casaro aggiunge il siero innesto (una sostanza ottenuta dalla lavorazione del giorno prima, ricca di fermenti lattici).


E poi si aggiunge il caglio (una sostanza naturale che proviene dai vitelli). E’ questa sostanza che permette la coagulazione naturale del latte.

Il latte coagula ed il casaro modella questa massa con dei panni di lino. 
Si procede poi al taglio per metà della cagliata con uno strumento chiamato spino.

Il latte viene nuovamente scaldato e si estrae la “massa caseosa“.
Si fissa poi ad un supporto con i panni di lino e la forma prende forma (bel gioco di parole).

Poi i casari procedono a mettere la massa in delle forme temporanee.

Si procede poi a contrassegnare ogni forma con una sorte di carta d’identità.
In queste fasciere d’acciaio infatti sulla parete è stata fissata una fascia marchiante.

Con questo codice è possibile “tracciare” ogni forma.

Ecco come nasce la particolare “crosta con la scritta a puntini“.

Da qualche tempo sotto ogni forma viene fissato anche un codice QR per intensificare la tracciabilità. 

Le forme poi vengono immerse interamente in delle vasche contenenti una soluzione salina.

Alle forme poi vengono rimosse le fasciere e vengono messe a stagionare in camere con temperatura controllata.

E’ qui che ogni forma stagionerà  per almeno 12 mesi.

In questa stanza mi sono sentito piccino piccino!

Passa il tempo ed ogni forma si impreziosisce.

Dopo un anno il casaro procede all’analisi per evidenziare eventuali difetti (se presenti) ed esamina così ogni singola forma.

Tour finito!

Non ci resta che assaggiare! Ecco qui diverse stagionature a confronto.

CHE BUONO IL PARMIGIANO REGGIANO!
Non trovi?
Vuoi visitare un caseificio che appartiene al Consorzio Parmigiano Reggiano?
Organizzare una visita guidata è semplice. Basta contattare il Consorzio del Parmigiano Reggiano


Mail: staff@parmigianoreggiano.it
Hai visitato un caseificio?
Condividi tra i commenti la tua esperienza

Il film THE FOUNDER: perchè guardalo a scuola?

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La domanda che a volte gli studiosi della ristorazione si pongono è: “Come ha fatto McDonald a creare uno dei più grandi imperi economici con un panino“?
La risposta sembra darcela questo film: THE FOUNDER.
Il regista John Lee Hancock, noto per film come Saving Mr.Banks (film bellissimo che consiglio che racconta la storia dietro al film di Mary Poppins) ed un geniale e poliedrico Michael Keaton nelle vesti dell’imprenditore (truffaldino) che fonda il colosso del FAST-FOOD ci fanno immergere in una storia che ci lascia l’amaro in bocca.
Uscito a Gennaio del 2017, consiglio di guardare questo film perchè racconta la vera storia del Mc Donald’s, forse il più riconoscibile tra i marchi americani. Un marchio fondato sull’inganno, come vedrai.
Il DVD sarà disponibile da Aprile 2017

Clicca qui per prenotarlo su AMAZON

PER LA DIDATTICA
Come ben sai insegno Enogastronomia e molte volte organizzo con le mie classi il CineForum in cui cerco costantemente di far visionare film che parlano di cucina e di ristorazione

CONSULTA L’ELENCO DEI FILM CHE TI CONSIGLIO DI GUARDARE IN CLASSE

Certamente, dopo averlo visto più volte, consiglio questo film in quanto lo trovo particolarmente interessante sotto il punto di vista logistico. L’alunno infatti potrà capire che anche dietro un “banale” ristorante fast-food c’è una pianificazione costante sia per attrezzature che per offerta gastronomica e che un imprenditore è sottoposto a continue scelte che possono potenziare l’azienda oppure danneggiarla.
Di certo non farò spoiler ma ti faccio una domanda: Quanto ti piace Mc Donald’s?
Rispondi dopo aver visto il film…..mi raccomando

Il film THE FOUNDER: perchè guardarlo a scuola?

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La domanda che a volte gli studiosi della ristorazione si pongono è: “Come ha fatto McDonald a creare uno dei più grandi imperi economici con un panino“?
La risposta sembra darcela questo film: THE FOUNDER.
Il regista John Lee Hancock, noto per film come Saving Mr.Banks (film bellissimo che consiglio che racconta la storia dietro al film di Mary Poppins) ed un geniale e poliedrico Michael Keaton nelle vesti dell’imprenditore (truffaldino) che fonda il colosso del FAST-FOOD ci fanno immergere in una storia che ci lascia l’amaro in bocca.
Uscito a Gennaio del 2017, consiglio di guardare questo film perchè racconta la vera storia del Mc Donald’s, forse il più riconoscibile tra i marchi americani. Un marchio fondato sull’inganno, come vedrai.
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Certamente, dopo averlo visto più volte, consiglio questo film in quanto lo trovo particolarmente interessante sotto il punto di vista logistico. L’alunno infatti potrà capire che anche dietro un “banale” ristorante fast-food c’è una pianificazione costante sia per attrezzature che per offerta gastronomica e che un imprenditore è sottoposto a continue scelte che possono potenziare l’azienda oppure danneggiarla.
Di certo non farò spoiler ma ti faccio una domanda: Quanto ti piace Mc Donald’s?
Rispondi dopo aver visto il film…..mi raccomando

Perché i fagioli fanno scorreggiare? Il mistero degli oligosaccaridi

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Personalmente adoro i fagioli, secondo me tra i legumi più buoni in assoluto. Preferisco quelli secchi, sono sincero, quelli da mettere in ammollo la sera prima. In zuppa, con la pasta, all’insalata, passati oppure interi….sono fantastici.

Eppure, a volte (quasi sempre) provocano spiacevoli conseguenze…….
Ed allora mi sono chiesto: ma perché i fagioli provocano flatulenza?

La chimica ci viene in aiuto
Ed infatti analizzando i fagioli, si è scoperto che essi contengono oligosaccaridi (nello specifico si tratta di raffinosio, verbascosio e stachiosio).
Questo tipo di zuccheri non vengono digeriti dall’organismo come altri nutrienti, fanno resistenza nel tratto gastrointestinale superiore; infatti non riuscendo ad assimilare gli oligosaccaridi con i meccanismi digestivi, essi arrivano integri fino all’intestino crasso. Gli “inquilini” di quest’ambiente (un’infinità di microorganismi) cibandosi di questi zuccheri avviano un processo di fermentazione, ovvero producono gas. Qualcosa viene disperso tra sangue e feci, il resto espulso “rumorosamente“.
Nell’Inferno Dantesco troviamo il diavolo Barbariccia, celebre
per il modo con cui ordinava agli altri diavoli di avanzare.
« Ed elli avea del cul fatto trombetta. » (XXI, v. 139)
Forse era amante dei fagioli?

E’ possibile evitare spiacevoli 
e rumorose sorprese?
E’ possibile ridurre l’indesiderata conseguenza. 
Se usi fagioli secchi puoi farli bollire per circa 4 minuti e poi metterli in ammollo normalmente.
Non usare mai l’acqua “sporca” dei fagioli ma cambiala con acqua pulita. 
Inoltre fagioli come i fagioli con l’occhio ed i bianchi di Spagna contengono una quantità molto ridotta di oligosaccaridi.
Se non vuoi rinunciare al sapore dei fagioli, puoi utilizzare enzimi naturali che trovi in farmacia da assumere prima dei pasti che permettono di digerire questi zuccheri complessi.
Le ricette
Sul mio blog trovi numerose ricette dove impiego i fagioli:
E tu? Quanto ami i fagioli? 
Sei disposto a sacrificare te (e chi ti sta attorno) pur di mangiarli?
Commenta in basso e condividi il tuo pensiero

Ethnic Festival: una meravigliosa esperienza con i miei alunni

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Quest’anno con i ragazzi dell’Istituto “Sandro Pertini” di Monfalcone abbiamo partecipato all’ETHNIC FESTIVAL, una manifestazione che da ampio risalto a culture lontane ed a stili e tipi di cucina internazionali; dal 21 al 25 aprile, dal 28 aprile al 1 maggio nella splendida cornice del Parco della Spianata di Gradisca d’Isonzo (tra i Borghi più Belli d’Italia).
L’evento è iniziato il giorno 28 aprile ed è stato inaugurato da Fabrizio Nonis, un ambasciatore della cultura enogastronomica del nord-est d’Italia.
Il menu, pianificato dal Natascha Noia, (www.lachefmobile.it) è stato interamente realizzato dai ragazzi dell’indirizzo di cucina sotto l’attenta guida degli insegnanti ITP di cucina.

Assieme ad i miei colleghi ed ai ragazzi abbiamo gestito quindi un piccolo ristorante all’interno degli stand permettendo così ad i nostri allievi di potenziarsi e di migliorare le proprie conoscenze. 
Sono queste le esperienze che permettono ad i ragazzi di crescere e di potenziarsi.
Questo evento promuove le culture di tutto il mondo. 

All’Ethnic Festival tantissimi operatori del settore FOOD internazionale. Ristoranti indiani……

…gli ambasciatori di Amatrice con la loro buonissima pasta all’amatriciana…..

………..grigliate maxi con carni estere….
………numerosi food truck esteri ed italiani come gli amici siciliani di SICILIAN BURGERS
………che panini!!
Io ho potuto provare questo: Hamburger con suino nero di Nebrodi, pancetta, provola affumicata delle Madonie, cipolla di Giarratana caramellata, composta di fichi, pomodorini ed insalatina. Tutto racchiuso in morbido pane integrale…..
……un intero padiglione dedicato ad i paesi latini con musica dal vivo e piatti tipici come la PAELLA…..
….barman internazionali che realizzavano cocktails con prodotti tipici……
…….grigliatori argentini con la fantastica “asado”…….

Con i miei ragazzi abbiamo curato il servizio arredando la sala e gestendo gli ordini….

lavorare divertendosi…..sempre…..

Con l’amico collega prof. Fabio Foscarini i visitatori hanno potuto ammirare l’arte dell’intaglio dei vegetali….
Eccomi con il prof. Fabio Foscarini, più di un collega, un vero amico con cui ho condiviso questa fantastica esperienza.

E qui invece con gli amici colleghi ITP, l’evento è durato un’intera settimana, con servizio a pranzo e cena.
 

Ed eccoci qua con tutto lo staff durante la pausa pre-serale.
L’ETHNIC FESTIVAL è stata una kermesse davvero strepitosa, sia per i visitatori che per gli operatori.

DA RIPETERE!!

ETHNIC FESTIVAL

Il fenomeno Street-food – quando il cibo è tradizione secolare

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Quando prepari, esponi e vendi cibo in strada parliamo di street-food (cucina da strada).
Non è una pratica moderna, non è stata inventata adesso.
Negli scavi archeologici dell’antica Pompei troviamo ancora oggi le “thermopolia” e le  ”cauponae“, ovvero delle botteghe preparavano cibo in modo veloce (degli antichi take away)

Non è affascinante?

Il termine inglese street-food oggi fa parte del nostro mondo italiano ma in paesi con alta densità di popolazione come Asia, Africa ed America Latina due terzi della popolazione si ciba per strada.
Chi fa street-food?
Cucinare per strada è una pratica culinaria eseguita da venditori (quasi sempre) ambulanti basata sulla preparazione, esposizione, consumo e vendita di prodotti alimentari in strade, mercati e simili.
In questo straordinario universo rientrano tante attività, molto diversificate tra loro:
esercizi commerciali all’aperto o parzialmente al chiuso
food-truck

espositori\carrelli personalizzati

carrelli con attrezzature per cottura e rigenerazione;

Nel mondo più di DUE MILIARDI di persone mangia street-food

La definizione della FAO
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha dato una precisa e dettagliata definizione di street-food: il Food for the Cities è costituito da alimenti e bevande pronti per il consumo, preparati e venduti in strada o in altri luoghi pubblici come mercatini o fiere, spesso commercializzati su banchi provvisori o per mezzo di furgoni e carretti ambulanti. (link della fonte)
Il segreto del successo dello Street-Food
Perchè le persone mangiano per strada ed il locali sono sempre più vuoti? 
Perché se gestisci un ristorante in una città turistica devi obbligatoriamente avere una vetrina espositiva all’esterno?
Il primo motivo è molto semplice: si può consumare un pasto camminando, perchè lo street food non prevede l’uso di posate e (teoricamente) neanche di piatti.
Il secondo motivo è molto intuitivo: costa poco. Si tratta di consumare un pasto molto economico, comodo, senza spendere troppo.
Viviamo ormai in una società super connessa, iper veloce e siamo sempre in costante movimento. Siamo oggi persone che vanno di fretta e vogliono pagare poco.

Lo street food ITALIANO….altro che junk food
Amo il mio paese, è talmente “gustoso” che sopratutto in strada il cibo si trasforma in un rituale, una vera e propria tradizione.
Se andiamo a visitare un luogo, ci piace poter consumare le specialità del posto.consumare una pietanza per sentirsi parte di tradizioni, luoghi e paesaggi culturali a dispetto delle differenze sociali, culturali ed economiche. Lo street food è legato indissolubilmente al territorio, molto più della ristorazione tradizionale.
In Italia quasi tutte le nostre regioni possono vantare ricette street-food famose in tutto il mondo:
in Liguria la focaccia genovese e la farinata;


in Veneto possiamo mangiare i Cicchetti, dei piccoli assaggini come il baccalà mantecato e l’uovo con acciughe;
in Toscana fanno il Panino livornese;


nelle Marche trovi i panini con le Spuntature;


in Umbria puoi mangiare la Torta al testo, ripiena con salumi o formaggi;


in Emilia Romagna la piadina;


in Campania la pizza piegata a portafoglio, i cuoppi fritti e ‘o pere e ‘o musso;


in Puglia fanno gli Gnummareddi


in Sicilia a Palermo trovi il pani ca meusa e le panelle;

Lo street food mette tutti i clienti sullo stesso piano. Che sia una fetta di pizza od un panino, se lo consumiamo per strada siiamo tutti uguali.

Un’arte antica tramandata da generazione in generazione
Fare cibo da strada è un’arte antica tramandata spesso da padre in figlio. Non si tratta di semplici operatori, di “comuni” cuochi. Ogni proprietario conserva gelosa la propria ricetta e tecnica diventando negli anni un punto di riferimento locale davvero importante. Inoltre chi opera in strada deve fare molto affidamento alla propria esperienza. E’ davvero difficile cucinare all’aperto, in spazi molto ristretti e garantire al cliente sempre un buon prodotto.
Esistono infatti numerose professioni nate in strada:
  • i farinotti
  • i piazzaioli
  • i piadaiole
  • i meusari
  • i friggitori
  • i trippai

Da me a Castellammare di Stabia, la mia città, qualche tempo fa è venuto a mancare il Re della frittura in strada.

Wana Wana…..un mocc e nata man. 
Non si tratta di semplici professioni, ma queste persone (anche a volte senza esserne consapevoli) sono depositari di una tradizione artigianale antica che deve obbligatoriamente essere tutelata e protetta.

Aprire un food truck: schema e consigli pratici

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In classe, qualche settimana fa mi venne chiesto: “prof, ma come si apre un food truck?”

E così nasce questo post

Forse una moda, forse la chiave del vero successo…..ormai aprire un FOOD TRUCK sembra quasi un hobby.
Ma non è semplice.
Ma neanche difficile.
Come dico sempre, occorre metterci passione in quel che si fa.
E se aprire un ristorante può risultare la scelta vincente per chi ama la ristorazione, aprire un FOOD TRUCK potrebbe essere un giusto compromesso per iniziare un percorso di auto-imprenditorialità
Innanzitutto occorre pensare al FOOD TRUCK come ad un ristorante mobile. 
Apriresti mai un ristorante senza avere un minimo di esperienza?
Non lo consiglio affatto. Occorre essere consapevoli delle scelte da attuare, delle soluzioni ai tanti problemi che si affronteranno.
Ho realizzato questo schema, scaricabile gratuitamente, dove ho sintetizzato l’intero articolo.
L’idea
Nel gergo tecnico si usa dire “business idea” ovvero idea imprenditoriale.
Occorre capire innanzitutto cosa si vuole cucinare. Vuoi fare panini o piatti gourmet, perché questa scelta influenzerà l’intero processo produttivo.
Occorre poi studiare il territorio e la clientela: a chi voglio offrire i miei servizi? E dove?
Dopo aver superato questi due step, occorre studiare attentamente le normative, sia quelle nazionali che quelle regionali e comunali; Ricordiamoci che stiamo per intraprendere un’attività imprenditoriale.
Bisogna poi iniziare a ragionare in termini di marketing: come voglio comunicare la mia idea? Che canali voglio usare? So usare i social network?
Nel processo di ideazione, dobbiamo fare anche “due conti” ovvero fare una previsione di food cost: le materie prime quanto mi costeranno? Dove dovrò rifornirmi? Quanto farò pagare il mio panino?

La logistica
La vita in strada non è semplice. E dopo aver pensato all’idea giusta, occorre anche ragionare sulla realtà. Chi lavora con un food truck deve percorrere molta strada.
Ed in Italia il carburante costa (non stiamo negli States).
E se pensi che oltre a muoversi il furgone deve anche mantenere le materie prime fresche, tutto potrebbe complicarsi.
Le dimensioni contano……per i food truck!

Ci sono mezzi d’epoca bellissimi ma non pratici. ci sono furgoni grandi e capienti ma non adatti in città (sono difficili da parcheggiare).

In Italia molti imprenditori scelgono l’Ape Car (made in Italy puro): un mezzo semplice, pratico, piccolo e bello da vedere.
Ed poi occorre pensare a dove preparare le basi per le tue proposte gastronomiche.
Pensare di produrre totalmente sul furgone non è la scelta più furba: la maggior parte degli imprenditori “di strada” preparano le basi in cucine laboratorio e poi le trasportano nei food truck (magari abbattuti o sottovuoto).

Cosa serve per aprire un food truck
La ristorazione mobile per la legge è un’attività su veicolo immatricolato come VEICOLO SPECIALE USO NEGOZIO.
Ovviamente:
  • deve rispondere ai requisiti igienico-sanitari indicati dal Ministero della Sanità; 
  • bisogna ottenere le giuste autorizzazioni;
  • aprire una Partita IVA;
  • aprire una posizione presso INPS e INAIL;
  • iscriversi alla Camera di Commercio;
  • compilare la Comunicazione Unica, un documento che serve per comunicare l’avvio delle attività commerciali.

Le licenze
Per ambulanti esistono due tipi di licenze: tipo A e tipo B.
Con la licenza di tipo A (commercio ambulante con posteggio fisso) viene rilasciata dal Comune. Si tratta di un permesso concesso per un periodo preciso (un preciso giorno tra marzo-aprile e settembre-ottobre).
Con la licenza di tipo B (commercio ambulante in forma itinerante) il Comune permette l’esercizio in forma itinerante in tutto il territorio nazionale ed è gratuita.
E’ quella usata per l’attività di food truck. Aspetto da non sottovalutare è che quest’autorizzazione abilita anche alla vendita al domicilio del consumatore (ideale per svolgere catering).
Ovviamente il Comune chiede dei requisiti (possono cambiare da comune a comune):
  • iscrizione al R.E.C. presso la Camera di Commercio;
  • avere frequentato un corso per la somministrazione di alimenti e bevande (se in possesso di un diploma d’Istituto Enogastronomico occorre solo fare un piccolo esame);
  • possedere un diploma di scuola secondaria superiore o una laurea (anche triennale);
  • essere stato titolare, socio, dipendente qualificato o collaboratore di un’analoga attività (il periodo varia da comune a comune);
  • autorizzazione a partecipare a fiere, manifestazioni gastronomiche ed altri eventi.

Sul mio blog trovi molte informazioni interessanti che possono aiutarti ad avere un quadro più completo.

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Lo schema proposto in quest’articolo è di proprietà esclusiva di Giuseppe Alfredo Ruggi autore del blog RISTORAZIONE CON RUGGI ed è protetto dalla legge sul diritto d’autore n. 633/1941 e successive modifiche. Nessuna immagine, schema, mappa, video, documento o learning objects ha scopo di lucro. Hanno quindi esclusivamente finalita’ culturali e/o didattiche. Invito quindi a non rimuovere e\o modificare il presente learning object e di segnalare nel caso di utilizzo, inviando una mail a profruggi@gmail.com.

Ma quanto pesa un uovo? – Guida al mondo delle unità di misura casalighe

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Quante volte abbiamo letto una ricetta e ci siamo chiesti: 
  • ma quanto pesa un uovo?
  • quanti grammi è un cucchiaino?
  • una tazza di latte a quanti ml corrisponde?

Misurare con tazze e cucchiai non è un metodo preciso ma può comunque tornarvi utile.
Non è semplice, la soluzione migliore secondo me è sempre quella di usare una bilancia elettronica.
Ma è comunque importante capire come misurare le materie prime.
In giro per la rete (ed anche su libri di bravi cuochi e pasticceri) troverete spesso l’utilizzo di un cucchiaino o di una tazza da caffè.
Io ho fatto questo semplice schema che a grandi linee, può aiutare a convertire in grammi una buona parte di metodi di misurazione (casalinghi e non).
Puoi scaricare e salvare liberamente.
(clicca sull’immagine e poi clicca su SALVA CON NOME)
Come vedrai è di facilissima lettura. Ho diviso gli ingredienti più usati in cucina ed ho fatto corrispondere il metodo di misurazione più intuitivo e veloce.
Se invece vuoi convertire diversi sistemi di grammatura come goccia, cucchiaino, tazza, pinta, oppure sistemi anglosassoni ed americani come ton, pound, dram..etc. ti consiglio di leggere quest’articolo in cui all’interno troverai uno schema da salvare 
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L’invenzione della crema pasticcera: storia e curiosità

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La crema pasticcera, che delizia!

indovina di che ricetta si tratta?

La crema delle creme, densa e saporita, fatta con uova, latte, zucchero ed aromi (io in Costiera Sorrentina ho imparato a farla usando la buccia di limone, solitamente si prepara con bacca di vaniglia).
Con questa crema puoi farcire pan di Spagna e realizzare torte (come la torta diplomatica) oppure farcire i bignè.
E se sei un avventuriero gastronomico, dalla crema pasticcera derivano moltissime preparazioni: in basso troverai un elenco molto dettagliato.
Ma chi è stato il primo a creare la famosa “crème pâtissière”? (così la chiamano i francesi).
In giro per il web troverai pareri molto discordanti; chi sostiene sia frutto di un errore, chi la definisce un vero mistero.
Resta il fatto che la crema pasticcera è alla pase della pasticceria. 

NON PUOI FARE DOLCI SENZA CONOSCERE LA CREMA PASTICCERA!

Le ricette vengono create da professionisti, si sa. Ma chi fu il geniale inventore di questa preparazione dolciaria?
Ovviamente un francese, tale François Massialot.
François Massialot (nato a Limoges 1660 e deceduto a Parigi nel 1733) è stato un importante cuoco di diversi personaggi illustri come Philippe I, duca di Orléans (fratello di Luigi XIV), del duca d’Aumont, del cardinale d’Estrées e del marchese de Louvois. 
Autore di un libro molto interessante, definito dagli studiosi di cucina come uno dei primi dizionari culinari”: “Le cuisinier roïal et bourgeois“.
Nelle sue opere troviamo per la prima volte ricette oggi considerate basilari come la crème brûlée la pasta di zucchero e la crema pasticcera.
la prima ricetta stampata della crema pasticcera
Massialot era geniale, addirittura aveva realizzato un modo per estrarre la “gomma adragante” da una ventina di specie di leguminose. Con questa sostanza era possibile realizzare la pasta di zucchero (che colorava con coloranti naturali come lo zafferano e l’iris blu) per creare fiori di zucchero. 
Gli inglesi, più tardi, tradussero le sue opere in “The Court and Country Cook” (1702), diffondendo così in tutto il mondo dei professionisti le ricette di Massialot. 

Vuoi la ricetta della crema pasticcera classica? CLICCA QUI


Le creme che derivano dalla crema pasticcera
Usando come base la crema pasticcera è possibile realizzare numerose altre creme. I nomi logicamente sono in francese, tra i maestri della pasticceria classica europea. (le ricette appartengono alle preparazioni classiche, che purtroppo in epoca moderna si sono confuse ed alcune oggi si realizzano in maniera differente).
Crema pasticcera + Meringa all’italiana= Crema Chiboust
Crema pasticcera + Crema chantilly + Gelatina = Crema Diplomatica
Crema pasticcera + Crema di mandorle = Frangipane*
Crema pasticcera + Crema chantilly = Crema Madame
Crema pasticcera + Burro = Crema Mousseline
*può essere ottenuta anche creando una crema pasticcera che invece della farina “classica” (o amido o fecola) preveda l’uso di farina di mandorle
Hai mai realizzato la crema pasticcera light? (ideale per chi soffre di diabete)
CLICCA QUI

Si scrive crema “PASTICCERA” o crema “PASTICCIERA“?
E’ ormai consuetudine trovare in libri e ricettari le due forme. Vengono entrambe usate e non sono un errore (anche secondo vocabolari come GARZANTI).
Avviene lo stesso per la parole “pasticciere” e “pasticcere“.

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Parmentier e la "sua" patata – ovvero come la Francia iniziò ad amare i tuberi

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Titolo voluto (e divertente) per quest’articolo che parla di storia.
Sono pochi purtroppo i tecnici della ristorazione che conoscono precisamente la storia di Antoine Augustin Parmentier.
Parmentier analizza e studia

Nato a Montdidier (Francia) nel 1737, agronomo e nutrizionista, è grazie a lui se oggi tutto il mondo ama la patata (tubero), uno degli alimenti protagonista della cucina moderna.
In quell’epoca l’Europa conosceva già le patate, importate dall’esploratore spagnolo Gonzalo Jimenes de Quesada (1537) e non erroneamente come si pensa, da Cristoforo Colombo.
Questo conquistador guadagnò (sottrasse, per come la vedo io) molto oro e smeraldi e sempre in Colombia, scoprì questo tubero che descrisse come “un tartufo che sa di buono“.
ma c’erano ancora numerosi dubbi sull’utilizzo nell’alimentazione in quanto la patata era considerata un alimento portatore di malattie. L’intuizione dell’enorme potenzialità del versatile tubero venne quando Parmentier ricopriva l’incarico di farmacista nell’esercito francese (all’epoca combattevano la guerra dei 7 anni – 1756-1763). Fu catturato dai tedeschi e messo sotto dieta forzata a pane, acqua e patate (i tedeschi a differenza dei francesi mangiavano patate ma le consideravano comunque alimento da destinare ai ceti sociali più bassi) e fu così che Parmentier potè scoprire ed apprezzare le virtù nutrizionali delle patate. Inoltre era molto stupito da come il tubero riuscisse a vegetare anche in suoli poveri d’acqua .
Quando fu liberato tornò a casa iniziando numerosi studi sui tuberi e quando nel 1771 la municipalità di Besançon pubblicò un bando sulla ricerca di nuove alternative al grano per garantire il cibo alla popolazione in caso di carestia, il nutrizionista pensò bene di partecipare con i suoi studi.

La patate in quel tempo potevano essere considerate un valido sostituto dei pane, uno pseudo-pane già pronto che non necessità di particolari abilità nella preparazione.

Va detto che in quegli anni l’Accademia di medicina di Parigi era sostenitrice della legge in cui in Francia era vietata la coltivazione delle patate perchè ritenute alimenti malsani che provocavano numerose infezioni.
La forza di volontà ed il sapiente entusiasmo di Parmentier convinse addirittura re Luigi XVI che per risolvere la gravissima carestia che colpi la Francia nel 1785, obbligà tutti gli aristocratici a far coltivare ai loro coloni le patate.

Statua di Parmentier che si trova nella sua città natale, Montdidier

Addirittura la regina riuscì a pubblicizzare i tuberi, decorando la propria parrucca con i fiori azzurri della patata (la moda venne seguita da tutte le nobildonne francesi).
Più tardi (in piena rivoluzione) nnel 1789, Parmentier pubblicò “Traité sur la culture et les usages des pommes de terre, de la patate et des topinambours“,

un trattato in cui il nutrizionista illustrava l’utilizzo della patata (ed affini) e descrivendo numerose ricette.

Ancora oggi il nome Parmentier è legato ad un determinato taglio di patate in cucina ed a numerose ricette aa base di patate.

La storia continua, e quest’umile alimento entra di prepotenza nelle cucine degli aristocratici, nei piatti dei sontuosi banchetti.

Parmentier in cucina
Come anticipato, Auguste Parmentier ideò numerose ricette per convincere i francesi ad usare le patate nelle loro cucine. 
Qui alcune delle preparazioni più usate (tutte rigorosamente usando le patate):
@ il taglio Parmentier = quando in cucina tagliamo le patate in cubetti il taglio si chiama “alla parmentier” ===> vuoi conoscere altri tipi di tagli? CLICCA QUI
il taglio Parmentier
@ potage \ crema Parmentier= si presenta come una zuppa con all’interno patate, brodo di carne  (manzo o preferibilmente pollo), panna fresca, porri ed erbe aromatiche (ripresa e diffusa dalla famosa Julia Child);

@ sformato parmentier= si tratta di un purè di patate cotto al forno con all’interno uova, carne di manzo tritata, pomodoro e formaggio => poi evoluto nel meridione italiano nel gateau di patate.
La storia in cucina è stupenda, segui il blog RISTORAZIONE CON RUGGI per conoscere a 360° il mondo dell’enogastronomia.

Si ritorna a scuola

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Ciao amico lettore,
forse non ti sei accorto che era da un bel po che non scrivevo…..oppure ti sarai chiesto: “ma Peppe Ruggi che fine ha fatto“?
Quest’anno scolastico riparte a metà ottobre, dopo l’esperienza avuta a Monfalcone presso l’Istituto Professionale “Sandro Pertini“.
Conserverò sempre nel cuore la bellissima GRADO; ho avuto il piacere di essere cittadino per un anno di un posto stupendo.
L’anno scolastico 2016/2017 mi ha visto insegnante di Sala e Vendita. Ho conosciuto persone splendide, colleghi che ci mettono davvero cuore in quel che fanno e ragazzi pieni di entusiasmo. 

Un anno pieno di lavoro e tanto buon umore. Senza dimenticare la passione per il mondo dell’enogastronomia.

E quest’anno?
Quest’anno sono insegnante di sostegno presso l’Istituto Professionale “Telese” di Ischia. Un’esperienza nuovissima per me.
Vi lascio una foto dello scorso anno in attesa di farne di nuove.

Stay tuned!!

Il coniglio ad Ischia: storia e ricetta tradizionale

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Quest’anno la mia “precaria” carriera mi ha portato ad Ischia (evoluzione fonetica di “isla”, prima “insula” ) , la famosa isola verde. Una terra straordinaria: terra cara a Papa Gregorio Magno (e non solo..), è qui che si produceva la “ceramica bizantina“. Poi vennero i saraceni, poi i siciliani (è questo il tempo in cui avvenne il rapimento di Restituta Bulgaro nel Decameron), dopo ancora le guerre tra aragonesi ed angioini , poi i saccheggi del corsaro Barbarossa e del corsaro ottomanno Dragut…..ed ancora, ancora, ancora…..nel periodo della Repubblica Partenopea gli inglesi punirono gli insorti; poi venne il fratello di Napoleone I, poi tornarono i Borboni con il nuovo regno delle due Sicilie……..e tanti terremoti.

Insomma….Ischia è un’isola che la storia ha esposto a continui mutamenti (chiamiamoli così)

Ma com’è possibile che nel patrimonio gastronomico dell’isola d’Ischia rientri il coniglio e non una specialità di mare?

La risposta è molto chiara: gli Ischitani non hanno mai vissuto per il mare e greazie ad esso, sono da secoli contadini.
La terra vulcanica è tra i suoli più fertili al mondo (molto potassio) e tra scegliere raccolti costanti e pesca ogni giorno diversa, la scelta è semplice.
Gli ischitani sono da sempre stati eccellenti contadini, abili esperti che con grandi sacrifici riuscirono (e riescono ancora oggi) a gestire l’impervia e complicata superficie coltivabile. 
Simbolo della ruralità, il vino. Ed a Ischia lo sanno fare davvero bene:
  • il Biancolella;
  • i bianchi ed i rossi d’Ischia (anche spumantizati);
  • il Forastera;
  • il Piedirosso (o ‘per e’ palummo), anche in versione passita.

Ma perchè proprio il coniglio?
Si sa..i conigli si riproducono molto in fretta e già dal 1500 nei poderi ischitani, il coniglio era la specie più allevata sull’isola (antiche testimonianze provano l’esistenza dei conigli selvatici già in epoca greco-romana).
Senza dimenticare che quest’animale era il protagonista della “nobile arte” della caccia al coniglio dei nobili che hanno vissuto sull’isola (in primis aragonesi e borboni).

Nella tradizione ischitana, il coniglio veniva preparato quando si ultimava la costruzione di una casa, in particolare quando si faceva il tetto (o’ carusiello).

Il famoso Coniglio da Fossa
Ancora oggi, non tutti sanno che il coniglio ischitano è presidio SLOWFOOD prendendo il nome di Coniglio da Fossa (anche se ad Ischia dicono Coniglio di Fosso).

Associazione Green Ground- Il terreno Verde –Ass. Agricoltori e zootecnici custodi, Via Cretajo al crocifisso 3, 80070, Barano d’Ischia (NA) 

Il nome deriva dalle metodologie applicate all’allevamento: i conigli, come secoli fa, vengono ancora oggi allevati in buche molto profonde, con le pareti rivestite in tufo verde.

E quest’animale sull’isola vive una profonda simbiosi con il vino.
Il terreno delle fosse, concimato naturalmente, viene riutilizzato per la produzione vitivinivola e gli stessi conigli vengono nutriti con i residui della potatura del vitigno, oltre che con legumi, frutta ed ortaggi.
Ma come si cucina il coniglio ad Ischia?
Esistono diverse ricette ma parlando con i miei colleghi ischitani, tutti sono d’accordo su una cosa: il coniglio all’Ischitana vuole obbligatoriamente la Maggiorana.
Ecco allora la ricetta
Ingredienti (per 3 persone):
  • 1 coniglio;
  • 6/7 pomodorini datterini (o del Piennolo, ancora meglio);
  • maggiorana (possibilmente fresca);
  • timo;
  • rosmarino
  • 4 bicchieri di vino bianco (Biancolella o Forastera);
  • olio extravergine di oliva;
  • 1 peperoncino;
  • 4 spicchi d’aglio;
  • sale;


Procedimento:

Innanzitutto occorre lavorare la carne tagliando l’animale in pezzi regolari. Lavateli per eliminare residui di osso e poi immergeteli in un contenitore con acqua ed aceto per circa un’ora. Dopo va asciutato con molta cura.
In una padella con olio soffriggete l’aglio ed il peperoncino. Eliminiamo l’aglio ed aggiungiamo il coniglio. I pezzi vanno rosolati con cura (possiamo oppurtunamente rosolarli poco alla volta e disporli momentaneamente in un vassoio). Quando avremo rosolato tutti i pezzi di carne, disponiamo in una capace padella tutto il coniglio, alziamo la fiamma e sfumiamo con il vino. Dopo circa 20 minuti, aggiungete i pomodorini (o interi o tagliati a metà). Regolate la fiamma e salate leggermente. Quando i pomodori saranno morbidi regolate la fiamma (deve essere al minimo), aggiungete le erbe aromatiche (tritate finemente) e cuocete per altri 30  minuti circa (il sugo deve addensarsi). Durante la cottura curate attentamente il coniglio, bagnandolo con la salsa di pomodoro.
Servite molto caldo

Paul Bocuse, il MAESTRO

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Se fai il cuoco e non conosci Paul Bocuse forse dovresti cambiare mestiere.

Ma sei ancora in tempo perché non si smette mai d’imparare.

Paul Bocuse è un eroe della gastronomia francese, in quasi 50 anni di attività è riuscito non solo a costruire un impero ma ha gettato le basi della cucina moderna.

Appartenente ad una lunga generazione di chef, sin da piccolo Paul Bocuse (sir Paul) è vissuto nelle cucine, diventando poi ambasciatore della cucina francese (come vedremo più avanti).
Bocuse è uno dei fondatori della NOUVELLE CUISINE, una vera e propria corrente di pensiero culinaria che rifiuta i piatti pesanti e impone la “riscoperta” della semplicità.

La bibbia della cucina moderna
Questo libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1976 e ad oggi ha venduto più di  250000 copie solo in Francia. E’ considerata la bibbia della cucina moderna, un libro che non deve mancare nella libreria di ogni chef.

E’ ormai un classico e contiene 1200 ricette tra antipasti, verdure, uova, zuppe, pesce, carne, selvaggina, salse e dessert.

Cronografia
Premesso che i successi e gli avvenimeti legati allo “chef del secolo” sono molteplici, riporto quelli più significativi
1956
Paul Bocuse inizia la professione di cuoco nell’attività di famiglia, l’Hotel du Pont de Collonges.
1958
Ottiene la prima stella Michelin
1961
Ottiene il titolo di Meilleur Ouvrier de France (un concorso nazionale che premia gli operatori di numerosi mestieri tra cui l’hotellerie)
1962
Ottiene la seconda stella Michelin
1965
Ottiene la terza stella Michelin
1975
Viene nominato Cavaliere della Legione d’Onore di Valéry Giscard d’Estaing al palazzo d’Elysée ed in quest’occasione realizza un nuovo piatto: la Soupe aux truffes noirs\la zuppa VGE, in onore del presidente Valéry Giscard d’Estaing (Zuppa al tartufo nero in crosta di pane).
1987
Istituisce il Bocuse d’Or a Lione e viene nominato CUOCO DEL SECOLO da Gault Millau (prestigiosa guida gastronomica francese, tra i fondatori della Nouvelle Cuisine).
1989
Viene nominato presidente Onorario della Scuola di Arte Culinaria e Ospitalità di Ecully, presidente dell’Euro Toques e viene nominato presidente nella categoria Cateringdel concorso vinto nel 1961 (Meilleur Ouvrier de France)
1990
Fonda l’istituto internazionale Paul Bocuse.
1991
Presso il celebre museo delle cere Grévin di Parigi viene esposta una sua statua.
Dal 1993 ad oggi si susseguono numerosi premi come la nomina di Comandante della Legione d’Onore nel 2004 o grande ufficiale nell’Ordine Nazionale di Merito e si susseguono negli anni numerose aperture di locali che in poco tempo sono diventati molto celebri. Ultimo lo scorso anno l’apertura del Comptoir de l’Est a Lione 6 °.
Nel 2015 ha celebrato l’anniversario di 50 anni della sua stella Michelin.
“Fate l’amore, non fate la dieta”

Come si arriva al livello di Paul Bocuse?
Non si può. E’ unico, inimitabile. Si può solo prendere come riferimento ma di chef eccelsi così ne nasce uno ogni 1000 anni. Espressione della vera passione dell’arte culinaria, dell’enorme senso di spirito di sacrificio, con l’atteggiamento tipico di un padre di famiglia che condivide con i propri figli l’esperienza, le abilità e le conoscenze assimilate e conquistate in anni di carriera.

fonte www.bocuse.fr

I foods guinnes records – ITALIA

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C’è chi usa il termine CIBO DA RECORD, chi parla di FOOD GUINNES RECORD e chi di RECORD GASTRONOMICO.
Con il termine food guinnes record intendiamo i record che trattano di cibo a 360°.
Esistono tantissimi records nel mondo che hanno a che fare con il cibo, tutti spettacolari, tutti incredibili. Noi in ITALIA vantiamo numerosi records, ma anche nel resto del mondo non scherzano affatto.

In questo post potrai conoscere i records  ITALIANI.
Queste vere e proprie esibizioni riguardano tutto: panini, pizza, dolci, gelati, bibite e chi più ne ha più ne metta.

I RECORD ITALIANI
La pizza più grande del mondo: fatta a Roma e misura 1261 metri quadri per 40 metri di diametro. E’ stata chiama OTTAVIA, composta da 5.234 lastre d’impasti assemblati tra loro e cotti sul posto. Condita con 4000 kg di pomodoro, 4000 kg di mozzarella, 190 kg di olio, 675 kg di margarina, 250 kg di sale marino, 100 kg di rucola, 125 kg di parmigiano reggiano e 25 kg di Aceto Balsamico Dop. Pesava 23.250 kg. 

La pizza più lunga del mondo: realizzata a Napoli e lunga 1 km, 853 metri e 88 centimetri.
AGGIORNAMENTO: il record italiano è stato superato a Los Angeles: la pizza più lunga al mondo ora misura 1900km circa e pesa  7.800 kg con 1600 kg di formaggio e 2.542 kg di salsa di pomodoro.
La polenta più grande: è stata realizzata a Belluno e pesa 5020 kg. utilizzando 800 kg di farina di mais, 3500 l di acqua. Tutto in una enorme pentola di ben 2,5 m di diametro. 
La cassata siciliana più gigante: realizzata a Mazara del Vallo. All’interno sono stati impiegati circa 200 kg di pan di spagna, 800 chili di ricotta, oltre ai canditi e pasta reale. Il dolce ha raggiunto il peso di 1.319 kg.
Il profitteroles più enorme: è friulano, precisamente fatto a Gemona del Friuli (già famosi per il tiramisù più grande).  150kg di dolce.

La moneta di cioccolato più grande: realizzata a Bologna, raffigura 1 euro ed è stata realizzata in scala 1:85. Pesa 640 kg, ha un diametro di 1 metro e 95,5 centimetri, per 17 centimetri di altezza

Più palline di gelato su un cono: a Belluno, il gelatiere Dimitri Panciera è riuscito a mettere su un solo cono ben 121 palline di gelato.

Il vero record ITALIANO
Il vero record italiano, quello che ci invida tutto il mondo è che il nostro paese vanta 4.886 prodotti alimentari tipici, tutti ottenuti secondo regole antiche e tradizionali tramandate da generazione in generazione: più di 270 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario, 2 prodotti STG e più di 400 vini Doc/Docg.

Leggi quest’articolo su prodotti tipici. Approfondisci quest’affascinante argomento.

Senza dimenticare che l’Italia è la terra della DIETA MEDITERRANEA, il nostro mercato cerca di soddisfare la domanda internazionale che aumenta di anno in anno sempre di più. Purtroppo abbiamo delle vere FERRARI dell’enogastronomia ma non sappiamo guidarle: nonostante la crescita esponenziale della domanda solo il 20% delle aziende italiane utilizza l’e-commerce. Inoltre il mercato mondiale è “infettato” dall’italian sounding, ovvero prodotti che non sono fatti in Italia ma vengono spacciati per italiani.

Approfondisci l’argomento dell’italian sounding. Clicca qui.

Ultime news: a Gennaio 2016 il Made in Italy agroalimentare è stato campione di incassi nel mondo con il record di 38 miliardi di vendite all’estero. 
SIAMO DAVVERO DEI NUMERI UNO….e dobbiamo continuare ad esserlo!
Conosci altri record italiani che riguardano il cibo ed il mondo dell’enogastronomia? 
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