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Cosa fa il docente di sostegno?

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Quest’anno scolastico per me è incominciato con una nuova sfida: fare l’insegnante di sostegno.
 

In questo post, quindi, una mia riflessione personale che cerca di rispondere ad alcune domande e crea nuovi spunti di riflessione.
La prima cosa che mi hanno detto i miei amici colleghi è stata questa: fare l’insegnante di sostegno oggi è molto diverso rispetto a qualche anno fa (lo stesso vale per tutte le altre discipline, aggiungo io).
La prima domanda che mi sono posto quest’anno è: qual’è il compito di un docente di sostegno?
 
Sembra una domanda molto sciocca, ma credimi amico lettore, rispondere non è affatto semplice.
Ma prima di questa risposta, occorre porsi un’altra domanda:

Chi è l’insegnante di sostegno?
E’ un docente assegnato ad una specifica classe in cui è presente un  alunno disabile. A questa figura, richiesta dal Dirigente Scolastico, vengono assegnate un TOT di ore in base alla diagnosi funzionale ed al progetto formulato dal Consiglio di Classe.
L’insegnante oggi deve portare avanti nuovi compiti, molto più impegnativi e con scadenze precise. Inoltre il docente di sostegno non è solo di sostegno al singolo alunno ma anche al gruppo classe.

Sono due i concetti che bisogna tenere ben in mente, a mio avviso: l’integrazione e la collaborazione.
Il primo (l’integrazione), è il concetto e l’aspetto più immediato.
E’ garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” (art. 12 della Legge 104/92). Si tratta quindi di un vero  e proprio diritto che va rispettato obbligatoriamente.
Ma quest’integrazione non riguarda esclusivamente l’alunno disabile; ognuno di noi a questo mondo ha bisogno di aiuto perchè NESSUN UOMO NASCE AUTONOMO.
E’ solo con l’educazione se un essere umano diventa autonomo.

Il secondo concetto (la collaborazione) secondo me, è quello più difficile perchè riguarda diversi aspetti e soggetti. Occorre proporre diverse forme di collaborazione agli alunni ed attivare processi didattici che permattano un clima positivo; deve obbligatoriamente essere positivo per attivare i percorsi d’integrazione.
C’è bisogno che i docenti delle diverse materie collaborino tra loro per conquistare gli obiettivi comuni e trasversali e permettere il fluido processo della progettazione e della pianificazione delle attività.

Le competenze
Il docente di sostegno assume quindi un ruolo importantissimo, di coordinamento e di supervisione. Ma non è facile (d’altronde non lo è nessun lavoro nel settore della pedagogia).

Qualche tempo fa scrissi sulle Competenze di un docente oggi
(clicca qui per leggere l’articolo)

Riassumendo il docente di sostegno deve possedere caratteristiche molto affascinanti: tanto cuore ed un alto livello di competenze relazionali, oltre alla conoscenza delle normative di settore.



E’ quindi molto chiaro: la risposta alla domanda iniziale è questa.
Il compito di un insegnante di sostegno consiste nel creare le condizioni ottimali per l’apprendimento e ancora di più per la socializzazione: imparare a stare con gli altri, condividere momenti della giornata, rapportarsi con le diverse discipline scolastiche ….
L’evitatore
Io aggiungo pure un altro compito: il docente di sostegno è un EVITATORE….(concedimi il termine, dai)
Detta così sembra una cosa brutta ma spiego in breve: gli alunni H molto spesso devono tollerare numerose frustrazioni. Rispetto ai discenti normo-dotati in molte azioni sono lenti ed occorre obbligatoriamente rinnovare la loro motivazione quotidianamente. In questo modo, in molti casi, si riesce ad alleggerire il carico delle frustrazioni; un piccolo passetto alla volta, ma sempre in avanti.

E poi…..cos’altro?
I documenti!!!
Un docente di sostegno deve avere conoscenze specifiche, conoscere la normativa di settore (come la legge 104/92), saper produrre e codificare P.D.F. (Profilo dinamico funzionale), P.E.I.  (Piano educativo individualizzato)..ed altri ancora……..ma per questo argomento mi riservo di scrivere un nuovo post sul blog nella sezione DIDATTICA….stay tuned!!!!

Concludo l’articolo con questo testo di Don Milani, tratto da Lettera a una professoressa, Firenze Editrice Fiorentina 1963.

“Va da se che il tornitore si sforza di lavorare sul pezzo non riuscito affinché diventi come gli altri pezzi. Voi invece sapete di poter scartare i pezzi a vostro piacimento….Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare”.


I coltelli giapponesi: storia e tipologie

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I dati parlano chiaro: nelle cucine dei migliori chefs vengono utilizzati i coltelli giapponesi.
La domanda è: perchè?
Perchè i coltelli giapponesi sono sinonimo di qualità e grande resistenza nel tempo?
In questo post chiariremo la questione, parlando della storia della produzione dei coltelli, elencando le diverse tipologie e quali coltelli sono indicati per specifiche preparazioni.
Un po’ di storia
Tutto nacque a Sakai, una città situata nella prefettura di Osaka (ovviamente in Giappone). Storicamente a Sakai si trova uno dei più grandi porti del Giappone medioevale.  Proprio qui, infatti, nel XVI gli scambi con i paesi europei (specialmente con il Portogallo) introdussero il commercio del tabacco, che si diffuse rapidamente in tutto il Giappone. Fu in questo momento storico che a Sakai aprirono le prime botteghe artigiane che producevano coltelli per il taglio del tabacco.
Le coltellerie artigiane pian piano si perfezionarono creando un’ampia gamma di modelli di coltelli; non più solo coltelli per il taglio del tabacco ma anche da impiegare in ambito alimentare (specialmente per il taglio del pesce. Non per nulla il Giappone è la patria dell’arte del sushi). 
Tutt’ora le fabbriche nipponiche godono di profondo rispetto da parte di numerosi professionisti del settore ristorativo che scelgono di impiegare i coltelli giapponesi nelle loro cucine.
Perchè i coltelli giapponesi sono diversi rispetti a tutti gli altri?
Cosa li rende unici ? Cosa li differenzia da tutti gli altri?
Innanzitutto la materia prima: l’acciaio lin Giappone viene lavorato per risultare più duro.
Il grado di durezza si esprime in HRC (scala di Rockwell); il valore minimo nei coltelli giapponesi è pari a 60HRC mentre la maggiorparte dei coltelli presentano valori tra 54 e 60HRC.
Cosa significa? Semplicemente che l’acciaio nei coltelli giapponesi ha un maggiore livello di durezza; è meno flessibili, si può spezzare e scheggiare più facilmente e quasi sempre l’acciaio non è inossidabile, quindi debole alla ruggine (il trattamento per rendere l’acciaio inossidabile tende ad abbassare il livello HRC). Detta così sembra che stia parlando di coltelli dalle caratteristiche molto mediocri. Non è così perchè una maggior durezza vuol dire un’affilatura perfetta e più duratura. Queste qualità ovviamente fanno si che i coltelli giapponesi richiedano una manutenzione meticolosa ed una pulizia costante (non sono per tutti).
Un’altra peculiarità è che la maggiorparte dei tipi di coltelli giapponesi sono affilati solo da un lato (non tutti, ripeto). 
Le tipologie di coltelli
Come avviene in occidente, dove ogni coltello ha un proprio nome ed legato a determinate lavorazioni in cucina, così avviene con i coltelli giapponesi.
Sopra i nomi in elenco ho messo la foto del coltello (tutto chiaro no?)

- Santoku: è utilizzato per il taglio di carne, pesce e verdure;
- Deba: presenta lama larga ed è ideale per il taglio del pesce e per la porzionatura di carne;
- Petty: piccolo e molto maneggevole, è utilizzato per lavorare sopratutto frutta e verdure;
- Yanagiba: presenta una lama lunga ed è il coltello per eccellenza del sushiman;
- Nakiri: con questo coltello si tagliano specialmente ortaggi e verdure;
- Gyuto: è un coltello multiuso, leggermento più allungato del Santoku.
Il prezzo. Quanto costa un buon coltello giapponese?
Tiriamo le somme (nel vero senso della parola). 
Molti si chiedono: “ma quanto costa un coltello giapponese autentico?
Esistono in commercio coltelli che partono dagli 80€ fino ad arrivare anche a cifre a tre zeri.
Da cosa dipende la differenza di prezzo?
Innanzitutto dalla tipologia del coltello e dal produttore. Come avviene per i capi d’abbigliamento, anche nel mondo dei coltelli ci sono produttori più conosciuti ed affermati rispetto ad altri, sinonimo di grande qualità: Kai Shun, Global, Kasumi… solo per citarne alcuni.. 
E poi il prezzo viene influenzato anche dalle rifiniture ed accorgimenti: il materiale impiegato per il manico (nylon, legno classico, ebano..etc..etc..), dal design della lama (olivato, damascato, martellato…etc..etc..). 
Il mio pensiero? Secondo me il prezzo non è esagerato ma il giusto, se ovviamente rapportiamo la qualità al prezzo. Nel mercato mondiale esistono delle vere schifezze, credetemi, a cifre davvero esorbitanti ma è anche vero che non tutti i coltelli giapponesi che troviamo in commercio sono veramente nipponici.
un’infografica molto carina che evidenzia le differenze tra un cortello ordinario ed un coltello giapponese
Chi vive per la cucina, lavora o ha una grande passione per la gastronomia deve assolutamente avere almeno un paio di coltelli giapponesi nel proprio “armamentario“.

Commenta in basso se vuoi consigli per un determinato acquisto oppure condividi con me ed i lettori la tua esperienza se sei possessore di un coltello giapponese.

Instagram ed il food-business

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Il web business per te è come parlare arabo?
E’ tutto molto più semplice di quel che pensi. Siamo nel 2000 da quasi 20 primavere eppure è solo da circa 5 anni che in Italia i social sono diventati indispensabili per fare del buon business.
Ti sei perso la “puntata” in cui ti parlo della possibilità di contattarmi per corsi (frontali e a distanza) in ambito social e blogging? Prima leggi quest’articolo e se ti è piaciuto, CLICCA QUI per saperne di più.

Domanda: qual’è il social (business) network per eccellenza che domina in questo momento?
Nel bel paese certamente è INSTAGRAM, la piattaforma di proprietà FACEBOOK INC. dove la mission finale dell’utente è POSTARE FOTO (..non per tutti è solo quello, come vedrai).
In questo post vedremo:
  • cos’è Instagram;
  • come si comporta il popolo dei social network;
  • come condividere una foto efficaciamente;
  • quanto influisce lo storytelling;
  • come impostare un profilo INSTAGRAM BUSINESS;
  • utilizzare il bio-link;
  • esempi semplici di web marketing;

Se nel mondo dell’abbigliamento dominano i fashion blogger, nel food a dominare la scena su Instagram è invece la foto di buon cibo: riesce a fortificare la fidelizzazione ed attirare potenziali clienti. Ma non basta solo un buono scatto, occorre una pianificazione, una vera e propria strategia.

Instagram
Un social network intuitivo, facile da utilizzare. Basta scaricare l’APP dallo store del proprio dispositivo (ios/android/win), registrarsi (chi è utente FACEBOOK usa la stessa user\password). Poi l’utilizzo è semplice: scatti la foto, se vuoi la ritagli, usi qualche filtro (effetto sulla foto) e la condividi.

Ormai i nostri smartphone/tablet hanno fotocamere sempre più performanti e lo scatto finale è sempre di buono qualità (le foto di oggi sono molto più belle e definite rispetto a quelle scattate qualche anno fa). 

Personalmente consiglio sempre di scattare le foto con l’app predefinita del dispositivo e poi condividerla: perchè la fotocamera, scattando con INSTAGRAM, è più lenta ed a volte non riesce a dare un risultato ottimale. 

Con l’app INSTAGRAM puoi anche cercare foto caricate da altri utenti (non per forza di nostri amici\conoscenti). La ricerca è molto semplice ed intuitiva: puoi guardare un elenco delle foto scattate da chi segui, oppure quelle appena caricate oppure ancora fare ricerche specifiche (scrivendo un nome, un hashtag) oppure cercando un luogo specifico.
Cos’è un hashtag? Portato alla ribalta dal social media TWITTER il simbolo dell’hashtag è #. Si tratta di una vera e propria etichetta virtuale, una PAROLA CHIAVE, un aggregatore tematico con cui risulta più semplice la ricerca (attiva e passiva) di un determinato post (sia esso una frase, foto, video, gif animata…etc). Dopo aver digitato # si scrive una parola che ha a che fare con il post (pubblichi la foto di una pizza? Si usa #pizza).
Crea l’hashtag giusto, il #TUOHASHTAG che salderai ad ogni tua foto. E chiederai ai tuoi clienti di usarlo quando pubblicheranno una foto che riguarda la tua attività.
Gli I-gers
Ogni social ha il proprio popolo: ci sono i nomadi che scattano, condividono e non seguono nessuno e ci sono le tribù “autoctone” che invece conoscono bene le regole e sono molto attenti a cosa accade nel proprio territorio. E’ il caso dei Igers (abbreviazione di INSTAGRAMMERS), una comunità di appassionati di INSTAGRAM e di belle foto.

In Italia Instagram è utilizzato da oltre 14milioni di persone ed in ogni zona il social network ha il proprio gruppo di Igers. In Campania c’è IGERSCAMPANIA, a Napoli ci sono IGERSNAPOLI e così via…. l’hashtag giusto per “richiamare” la loro attenzione è legato al nome; ad esempio: #igersnapoli. Ti consiglio di fare una rapida ricerca su GOOGLE e vedere se la tua zona è “popolata” da IGERS.

Raccontare una storia e condividere sapere
La qualità nel dettaglio delle foto è sinonimo di passione. E’ un dato di fatto…..oppure no?
Non poco tempo fa ad un’azienda ristorativa bastava scrivere un buon menu (che non si scrive con l’accento sulla u), differenziando l’offerta e personalizzandolo con le caratteristiche ed i colori del locale. Poi arrivarono le prime foto con i primi menu in cui era possibile vedere alcuni dei piatti proposti.
Poi gli imprenditori iniziarono ad invadere la rete con i siti internet (nella maggior parte delle attività ristorative si trattava di siti con templates ed informazioni generiche offerti in pacchetti di abbonamento annuale, es. Pagine Gialle. E purtroppo quasi sempre erano presenti foto generiche oppure di scarsissima qualità ).
E poi arrivarono loro ovvero i social networks. Inizialmente pagine personali con foto e videogame in flash, dopo qualche anno la svolta: LA QUALITA’ HD, resa possibile da device e connessioni di rete sempre più performanti.

E’ in questa fase che la qualità è diventata fondamentale: foto sempre più definite, che seguono regole ben precise, FANNO LA DIFFERENZA.

Vuoi capire come realizzare foto utilizzando il tuo smartphone? Ci sono regole ben precise ed app che possono migliorare i tuoi scatti. Leggi questo mio interessante approfondimento

E quando (quasi) tutte le aziende hanno imparato come fare foto e video (o si sono affidati ad esperti), cosa è successo? E’ entrato in campo lo STORYTELLING.

Lo storytelling è un metodo attraverso cui, seguendo delle specifiche strategie, è possibile condividere un racconto che lasci intendere significati di spessore, oserei dire emozionali.

Una premessa lunghissima ma doverosa.
La differenza sul web oggi la fa il racconto.
Hai un nuovo piatto? Lo fotografi e racconti il suo background ovvero la storia che ti ha permesso la realizzazione di questa novità.
Hai un oggetto nel tuo locale che per te è molto importante? Lo fotografi e racconti un pezzetto della tua vita.
Perchè farlo? Perchè noi esseri umani amiamo le storie, siamo attratti dall’unicità. Un cliente su 4 usa  INSTAGRAM.


Hai mai pensato che per vendere oggi devi far conoscere il tuo passato? E vitale costruire ed instaurare un rapporto di fiducia con potenziali clienti affermando: NON SONO NATO IERI., e per farlo devi condividere foto di ricordi, di quando hai iniziato, dei tuoi primi successi….

Cosa differenzia il tuo piatto di spaghetti al pomodoro da un altro piatto di spaghetti al pomodoro? Il fatto che magari i TUOI pomodori sei TU a coltivarli, o che magari sei TU che la mattina vai dal TUO contadino di fiducia…..ed allora perchè limitarsi a fotografare il piatto? Perchè non fotografare anche la piantina di pomodori oppure scattare un bel selfie assieme al buon contadino?

E dopo aver condiviso la tua vita? Di cos’altro si può scrivere?
Sei un artigiano del cibo, non dimenticarlo mai. Sei il custode di un know-how tramandato da generazioni, di un sapere che con fatica hai assorbito e fatto tuo….e DEVI CONDIVIDERLO….a puntate, a piccole dosi, a “pillole”.

Una bella foto di una padella con gli spaghetti fumanti, quelli con il pomodoro del TUO contadino e  sotto un bel consiglio: “Fate come me, scolateli ancora al dente e poi fateli insaporire nel sugo prima di servirli belli fumanti“. Si tratta di semplici esempi eh, ogni business è differente da un altro.

E se non sai cosa scrivere? Chiedilo ai tuoi clienti, così, spudoratamente: “Signora bella che metti MI PIACE alla mia foto, vuoi sapere qualcosa in particolare? Chiedimelo ora, in un bel commento

Il profilo Instagram BUSINESS
Da un paio d’anni circa, Instagram ha dato la possibilità di creare un account BUSINESS, un modo semplice per differenziare persone “comuni” da aziende.
Da cosa si differenzia il profilo business dal profilo normale?
Sulla pagina di un’azienda compare il tasto CONTATTA. Inoltre (cosa molto importante) per ogni foto sarà possibile visualizzare i dati statistici: visualizzazioni effettive, copertura raggiunta e numero totale di interazioni (like + commenti)
Per ottenere un profilo Business su Instagram è molto semplice: con la certezza di possedere già una PAGINA FACEBOOK, basta aprire il proprio profilo Instagram e cliccare sul tasto PASSA AL PROFILO BUSINESS. Dopo questa fase, è possibile scegliere se essere contattati su email oppure su numero di telefono.

QUESTO PASSAGGIO E’ OBBLIGATORIO 
SE VUOI USARE INSTAGRAM COME STRUMENTO DI WEB MARKETING.

Usare intelligentemente il BIO LINK
Molti ancor oggi si lamentano dell’impossibilità di allegare ad ogni foto un link. Per fortuna Instagram non cede e a tutt’oggi non c’è possibilità di commentare con un link.

E come si fa allora a promuovere una pagina esterna al social?
Ecco che entra in gioco il BIO-LINK ovvero il link che si trova subito dopo il tuo nome sulla pagina del tuo profilo.

Come usarlo? I modi sono infiniti, occorre inventiva. Alcuni esempi:

  • puoi semplicemente usarlo allegando il sito internet della tua attività (scelta comoda ma poco efficace);
  • se hai un sito e-commerce puoi condividere la foto del prodotto e poi commentare in basso: “clicca sul link in BIO“;
  • puoi usarlo per condividere una specifica pagina (regala ad esempio la ricetta di quel piatto che hai pubblicato, ovviamente la ricetta devi caricarla sul tuo sito personale);
  • puoi regalare un coupon da scaricare;
  • puoi scambiare contenuti con un foodblogger condividendo magari la recensione della tua attività.

WebMarketing spicciolo => LA SINTESI

Tutte queste informazioni per un imprenditore alle prime armi in ambito social media sono davvero preziose, sfruttale e poi se ti va lasciami un bel commento in basso.
Facciamo ora un esempio pratico:
sei il proprietario di una rosticceria d’asporto che vuole estendere la propria visibilità a costo economico pari a zero (il web marketing all’inizio costa solo di tanto tempo, per provare, per studiare, per realizzare). La cosa più immediata da fare se vuoi utilizzare INSTAGRAM è scattare delle belle foto delle tue preparazioni gastronomiche, (senza prezzo e senza persone. Esalta ciò che fai, rendilo protagonista).
Devi focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla tua MISSION: divulgare a tutti che CI SEI ANCHE TU e che ciò che fai LO SAI FARE
Ricorda, occorrono tempo, pazienza e tanta costanza. Se invece vuoi usare immediatamente i social media per far soldi……mi dispiace…ma allora devi affidarti ad esperti ed investire denaro. In entrambi i casi, il successo non sarà mai assicurato e mai immediato. CHI TI PROMETTE QUESTE COSE E’ UN BUGIARDO.
Torniamo alle foto della tua bella rosticceria: dopo aver caricato una bella foto devi obbligatoriamente GEOLOCALIZZARLA (ovvero etichettare la foto con la zona dove è stata scattata). Basta accendere il GPS, tutto il processo è molto intuitivo. In questo modo renderai automatico la localizzazione geografica (che deve corrispondere ovviamente alla tua attività). E poi fare storytelling: non limitarti a descrivere quello che si vede nella foto, commenta con quello che “non si vede“, descrivi il dietro le quinte di quello specifico scatto. E non dimenticari di usare #iltuohashtag.

Fatevi insegnare da chi ne sa più di voi
Non per forza occorre contattare un guru del web. Inizialmente chiedi aiuto alla gioventù, a tuo figlio, nipote, cuginetto…non dimenticare che sono NATIVI DIGITALI ed usano le tecnologie spensieratamente, per gioco.
Ed anche tu devi fare lo stesso: la mission è fare Business ma sui social devi metterti in gioco, ironizzare e divertirti.

L’enigma dell’Ananas all’epoca dell’antica Roma

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Nel post di oggi parleremo di arte antica, precisamente dell’arte del Mosaico.
Nel mosaico fotografato sopra è raffigurato un cesto di frutta fresca. La tecnica artistica e decorativa utilizzata è quella del Mosaico: si creano motivi geometrici e non unendo piccoli frammenti di materiali molto duri (marmo, vetro, pietra, etc.). Qualcuno sul web dice che si tratta dell’antenato dei moderni puzzle (non mi trova pienamente d’accordo). 
L’arte del Mosaico, nata dai Greci ma sviluppata dai Romani, veniva utilizzata per abbellire le pareti ed i pavimenti di prestigiose case oppure per impreziosire oggetti di uso comune. Più tardi, nel periodo Bizantino, venne notevolmente sviluppata e gli artisti iniziarono a raffigurare volti santi ed abbellire edifici religiosi.
Ma perchè in un blog che tratta argomenti di enogastronomia, news ed approfondimenti si parla del MOSAICO?
Per i lettori meno attenti, consiglio di rivedere la foto del mosaico proposto in copertina.
Non trovate nulla di strano e bizzarro?
Ecco qui un bel zoom
Caro lettore, siamo davanti all’”enigma dell’Ananas Romano“. Nel mosaico di epoca romana (precisamente fatto risalire al I sec. d.c.) compare un frutto che arriverà in Occidente solo dopo il 1492 ovvero dopo la scoperta dell’America .

Ma come è possibile?
Questa foto ritrae un pezzo di un pavimento esposto presso il Museo del Palazzo Massimo alle Terme di Roma nella sezione dedicata, appunto, ai mosaici (oltre che ad affreschi e stucchi di epoca classica e non solo).
Nel cesto sono raffigurati tutti i frutti consumati all’epoca: fichi, melagrane, mele cotogne, uva rossa, ed un ananas. Come può esserci nel cesto un frutto mai conosciuto in Europa se non dopo i viaggi di Cristoforo Colombo?
Senza dubbio, sappiamo per certo che anche se i Romani non sono stati degli abili navigatori, restano tra i pochi popoli antichi che hanno superato le Colonne d’ Ercole e navigato nell’ Oceano Atlantico colonizzando, anche se brevemente, l’isola di Britannia.
Ecco la mappa dell’Impero Romano nella sua massima espansione.
Nella storia dell’umanità l’Impero Romano è stato uno dei più grandi, influenti e vasti di sempre. Si è espanso oltre l’inimmaginabile arrivando a dominare popoli diversi tra loro e anche alcuni molto lontani dal Mar Mediterraneo. Nei mercati i cittadini romani potevano acquistare tantissima frutta e verdura e molti dei prodotti erano di importazione straniera. 
Cosa non mangiavano i romani?
I romani non conoscevano:
  • le patate;
  • i fagioli;
  • i peperoni;
  • il caffè;
  • le zucche;
  • le melanzane;
  • i pomodori;
  • il riso;
  • il granturco;
  • il cacao;
  • tantissima frutta e verdura proveniente dai popoli orientali (Cina in particolare) come gli agrumi (mandarini, cedri, arance) e frutti che oggi definiamo “tropicali”; 

Oggi non sapremmo fare a meno di questi alimenti eppure nessun impero a quel tempo era tanto multi-etnico come l’Impero Romano ed i suoi cittadini erano abituati a gustare e sperimentare piatti nuovi (per l’epoca s’intende), con ingredienti stranieri provenienti da paesi appena conquistati e scambi commerciali con il mondo arabo.
L’abilità dei cuochi era di riuscire a fondere “l’autoctono mediterraneo” con i prodotti “nuovi“.
Addirittura, soffermandoci sulla frutta, i Romani erano già abili coltivatori che sperimentavano la tecnica dell’innesto sulle piante da frutto per creare nuove specie. Purtroppo moltissime delle specie create, a seguito della caduto dell’Impero Romano, sono state perse per sempre. 
Ah, maledetti barbari! 
Ma tornando al nostro Ananas, nessun testo antico trovato finora parla di coltivazione o prodotti similari all’Ananas.
Molti ancora oggi pensano che le piante di Ananas siano altissime, come delle palme.
La pianta di Ananas, appartenente alla famiglia delle Bromeliacee è invece più bassa.
Il frutto si definisce “non climaterico” ovvero staccato dalla pianta a differenza di altri frutti 
non va in maturazione e né la polpa né il contenuto zuccherino varia con il tempo (non è però eterno).
Forse i romani hanno attraversato l’oceano secoli prima degli spagnoli? 
Oppure dopo la conquista di Cartagine hanno requisito prelibati prodotti?
Ci sono stati scambi commerciali oltreoceano tra Mediterraneo e Sud America?

Le Teorie
Insomma, le domande su questo favoloso enigma potrebbero essere tantissime. Tuttavia ci sono diverse teorie che studiosi e curiosi hanno formulato nel corso del tempo. 
Qui riporto le tre più sensate:
1) ANANAS AFRICANO
Si tratta sempre di un’ipotesi. L’Ananas raffigurato nel mosaico forse è stato importato dalle colonie romane stanziate nell’Africa Occidentale. Sembra infatti che i popoli di quel territorio coltivassero già l’ananas. 
2) NON SI TRATTA DI UN ANANAS
L’altra ipotesi è che il frutto raffigurato non sia un ananas ma una pigna, e che il mosaicista per abbellirla abbia aggiunto delle foglie. 
qui un dettaglio di un mosaico Romano in cui sono raffigurate pigne abbellite con foglie.
3) UN RESTAURO SBAGLIATO
Forse il frutto contenuto in quel bel cesto è stato vittima di un restauro mal riuscito. Probabilmente il mosaico è stato sottoposto ad un restauro riuscito male ed il restauratore\artista ha commesso un anacronistico errore.
Altri ANANAS\enigmi ROMANI
Anche in altre opere romane, molti studiosi sono confusi e scioccati. Eccone riportate due, tra le più suggestive:
Nella foto un affresco riscoperto nella casa dell’Efebo a Pompei. 
Sulla colonna in mezzo ai due serpenti, sembra di vedere un ANANAS.
Nel Museo di Arte e Storia di Ginevra si può ammirare questa statua di epoca Bizantina 
(altra circa un metro e mezzo) che raffigura un bambino che stringe nella mano sinistra un ananas. Stranamente il cartello davanti alla statua riporta “ragazzo con grappolo d’uva“.
Qual’è la verità?
La Roma antica possedeva tutte le conoscenze astronomiche, geografiche, scientifiche e nautiche necessarie e con la stazza delle navi e le grandi vele avrebbero potuto compiere un viaggio molto lungo. I Romani sono arrivati in Groelandia, hanno raggiunto l’India e la Cina, perchè non le Americhe?
A tutt’oggi non risultano testimonianze dei Romani che sono sbarcati in Americani. Si tratta solo di tante ipotesi e teorie. Per ora l’Ananas resta uno dei grandi misteri dell’antichità.

Il riccio di mare – come pescarlo e mangiarlo

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Di cosa sa la polpa del riccio? ”Di mare ovviamente!”

Che sapore ha?  “Di mare, è chiaro!”
Così rispondiamo quando ci vengono rivolte queste due domande.
Perchè il gusto del riccio non si riesce a descrivere pienamente, un retrogusto particolarmente sapido e dal sapore molto più delicato dei frutti di mare come le ostriche.

Ma se la polpa dei ricci è tra le cose più buone che il mare ci permette di gustare, c’è chi non ha assaporato nemmeno una volta questa leccornia.

Esistono molteplici specie di ricci di mare ma quello che ritroviamo sempre nel nostro Mar Mediterraneo è il “paracentrotus lividus” che fa parte al phylum degli Echinidae,

CURIOSITA’=> Al phylum degli Echinidae appartengono anche le STELLE MARINE ed il termine Echinidae deriva dal greco, “echinos” vuol dire aculeo, spina e “dérma” ovviamente pelle..

NON DARMI DELLA FEMMINA!!
Purtroppo è errore sempre più comune parlare di riccio maschio e riccio femmina.

Il riccio è un animale ermafrodita ovvero presenta sia caratteristiche femminili che maschili. Dotato di gonadi, l’apparato sessuale produce dia ovuli che spermatozoi (ma ha sempre bisogno di un soggetto diverso per la riproduzione).

Tra lupi di mare e numerosi chef si dice sempre che il riccio buono da mangiare è quello femmina.

La verità è ben diversa: il riccio che viene identificato come maschio in realtà appartiene ad un’altra specie rispetto a quello commestibile. Quasi sempre nero scuro e dalle lunghe spine, appartiene agli Arbaciidae (arbacia lixula), appartenente sempre agli Echinodermi.
I ricci sono animali che amano acque basse e soprattutto l’ombra ed il suo predatore naturale è il “cugino” stella marina, immune agli appuntiti aculei.
Come si pescano
I ricci pungono e questo è un dato di fatto. Come scritto prima, quelli commestibili sono solo i paracentrotus lividus: hanno un colore che che va dal BRUNO al VIOLA. Quelli non commestibili sono di colore NERO LUCIDO.
Per pescarli occorrono attrezzi.
C’è chi usa un semplice coltellino con cui si fa leva sotto il riccio per staccarlo dal fondale.
C’è chi invece utilizza un forchettone attaccato ad un manico di legno molto lungo per evitare di pungersi oppure per pescarli dalla barca.

Tranne la pausa di fermo biologico da maggio a giugno (nella maggiorparte d’Italia) in cui la pesca di questo animale è severamente proibita, i ricci si trovano specialmente nel periodo invernale ed anche da febbraio ad aprile. I vecchi sostenevano che i frutti di mare vanno mangiati nei mesi con la “R“. Dopo averli raccolti, vanno messi in acqua di mare. Se gli aculei perdono la loro rigidità, vuol dire che il riccio sta morendo e che quindi va consumato appena possibile. Personalmente sconsiglio di congelarli, perdono tantissimo il proprio sapore.
Come si mangia il riccio
Il riccio si apre con delle forbici (ci sono anche quelle apposite chiamate appunto TAGLIARICCI), si svuota l’acqua all’interno e di questo frutto di mare noi mangiamo le GONADI (cioè gli organi riproduttivi, maschili e femminili, in cui avviene la maturazione delle cellule sessuali).

CURIOSITA’=> Anche in altri paesi del mondo il riccio viene considerato una vera leccornia. Ma luoghi e climi diversi portano ad animali diversi. In America ed in Giappone si trovano altre specie come le Strongylocentrotus franciscanus, le S. purpuratus e le S. droebachiensis. Alcune di queste specie vengono usate in Giappone per essere consumate come piatto di sushi.
Il riccio è buono crudo. Si deve mangiare crudo. OBBLIGATORIAMENTE.


Si apre e sii inzuppa un pezzettino di pane. Volendo si può aggiungere qualche goccia di limone. Ovviamente va sempre ricordato che mangiare frutti di mare crudi può portare a contrarre salmonella oppure epatite A.

Se invece si vuole preparare un bel sugo, basta seguire il procedimento dello spaghetto aglio e olio ed alla fine, nella fase della mantecatura a fiamma spenta, aggiungere la polpa dei ricci e prezzemolo tritato.

con pomodoro

Io personalmente, non aggiungerei pomodori. Volendo si potrebbe donare un sapore diverso grattugiando la scorza di un bel limone fresco.

senza pomodoro

I falsi Made in Napoli: le ricette tradizionali che credevi napoletane

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Napoli è la patria del buon cibo. NESSUNO DEVE NEGARLO.
Una di quelle città dove ad ogni angolo puoi trovare prelibatezze a cui è difficile resistere: dolce o salato, devi solo scegliere.
E molte volte devi rinunciare alla dieta perchè se non sei di queste zone…..”quando ti ricapita di mangiare un babà NAPOLETANO a Napoli?”…..”quando ti ricapita di assaporare cibi del genere”!!!!
Possiamo affermare che qui ebbero i natali tantissime ricette diventate patrimonio universale……eppure….eppure…forse i napoletani non ti hanno detto la verità.
Molto probabilmente è perchè non tutti sanno la verità.

In questo post elencherò 5 piatti che tutto il mondo pensa siano originari di Napoli ma che in realtà a Napoli hanno conosciuto FAMA e GLORIA.
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IL BABA’
Iniziamo ad infrangere cuori e certezze affermando che il babà non è napoletano.
Lo so, amico lettore, ti ho sconvolto. Il dolce più napoletano di tutti in realtà è polacco (babka ponczowa). Fu il re polacco Stanislao Leszczyński, celebre per la sua innata curiosità culinaria, a far modificare dai suoi pasticceri il dolce “gugelhupf”, una preparazione dolciaria a lievitazione naturale che ancora oggi viene realizzata sia in Polonia che in Germania.
Il re lo riteneva un dolce troppo asciutto e pretese l’aggiunta di una bagna a base di zucchero e vino bianco. il risultato finale vennne battezzato “Ali Babà” in onore delle celebri storie de “Le mille e una notte” che egli amava tantissimo.

L’evoluzione del babà continua…..e gli scambi commerciali ed i tanti viaggi a Parigi della figlia del re polacco permisero ai francesi di poter conoscere ed apprezzare questo dolce. Proprio nella capitale francese il pasticciere della corte polacca, Nicolas Stohrer, utilizzò per la prima volta il tipico stampo per babà che utilizziamo ancora oggi.
Più tardi, (XIX sec.) i fratelli Julien crearono un babà con al centro la frutta fresca, bagnandola con un liquore inventato qualche tempo prima dal pasticciere Brillant Savarin. Nascque quel giorno il Babà Savarin. Come è arrivato poi il babà a Napoli?
E’ presto detto: i sovrani facevano a gara nel contendersi i cuochi migliori e molti sovrani mandavano i propri chef a Parigi, per imparare le ricette della migliore scuola di cucina al mondo. Molto probabilmente i cuochi formati qui hanno poi realizzato questo dolce per qualche banchetto di corte.
Insomma, le leggende che girano intorno alla nascita di questo dolce sono tante ma la storia appena riportata è quella che molti ritengono la più attendibile.

IL RAGU’
Dopo averti deluso con il babà, dimmi la verità…..ora sei praticamente scioccato!
Quella cremosa preparazione a base di pomodoro e carne, in cui a fine pasto tanto ami immergere il “cuzzitiello” (pezzetto) di pane non è MADE IN NAPOLI. 
O meglio, non lo è originariamente. Durante il periodo tra il 1700 ed il 1800 Napoli fu enormemente influenzata dalla cultura del mondo francese (come anticipato poco prima)

Ed è proprio sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone che il termine “Ragù” viene coniato dai napoletani, alterando quello francese “ragout“. A tutt’oggi gli chef francesi utilizzano il termine “ragout” indicando stufati in generale, di verdure e carne. A sua volta il termine “ragout” sembra derivare dall’aggettivo “ragoutant” che significa appetitoso\allettante.

Durante il famoso trentennio fascista si cercò senza successo di italianizzare numerosi vocaboli, tra cui “ragù” trasformandolo in “ragutto“. In vero napoletano si scrive e si legge ” ‘O rrau

I napoletani conosceranno questo piatto solo nel 1700 ma in bianco, senza sugo di pomodoro. Ippolito Cavalcanti e Vincenzo Corrado riportarono per primi nei loro testi alcune ricette.

Vuoi leggere la storia di Ippolito Cavalcanti? Scoprine di più, clicca qui

Il Duca di Buonvicino in particolare, utilizzò il ragù come condimento per i maccaroni insaporendola con del formaggio grattugiato (come usiamo fare oggi), e scrisse anche di una preparazione della ricetta in versione rossa.

LA SFOGLIATELLA
A Napoli quando arrivi, tra le primissime cose che mangi c’è la sfogliatella: sia riccia che frolla va assolutamente provata perchè è nata a Napoli………………eh no! No! NO! Altrimenti non stava in questo post.
Napoli ha la paternità a metà,  per intenderci.
Quasi tutti conoscono l’antichissima disputa tra la città di Napoli e quella di Conca dei Marini. Oppure no?

Ok. In “esclusiva” per te, caro lettore,  la racconterò.
=>1600 circa: la storia narra di una suora addetta alla cucina del Santa Rosa, un convento di clausura tra Conca dei Marini e Furore (costiera Amalfitana). Volendo recuperare alcuni avanzi crea un ripieno a base di semola, zucchero, limoncello e latte con cui farcisce una sfoglia di pasta, per poi chiuderla ben, bene e cuocerla al forno.
=>1800: Il pasticciere Pasquale Pintauro modifica la ricetta originale dosando meglio alcuni ingredienti del ripieno e sostituendone altri. (introduce canditi e ricotta fresca). Cambia anche la tipologia della pasta e la forma (non più la classica forma della “sfogliatella frolla” detta a forma di “cappello di prete” ma crea la “sfogliatella riccia” a “forma di conchiglia).
=>2018: Ancora oggi la Pasticceria Pintauro si trova a Via Toledo a Napoli e sforna tutti i giorni sfogliatelle (e tanto altro). Mentre a Conca dei Marini si tiene ogni anno (ad Agosto) il “SantarosaConcafestival”…una festa, indovinate su cosa?

LA PARMIGIANA DI MELENZANE

E’ uno dei piatti poveri più buoni del SUD…..ma siamo certi di poter dire che sia un piatto Napoletano?
Ci sono pochissime testimonianze che confermano le origini del piatto ma storici ed esperti hanno limitato le possibili zone di appartenenza: Sicilia, Campania oppure Emilia Romagna. Ovviamente per una storia dettagliata sulla parmigiana di melenzane, mio caro, ti invito a seguire il blog.

Possiamo però dire che la parmigiana non sembra essere totalmente partenopea. La melenzana è un prodotto importato dall’Arabia nel Medioevo mentre il nome sembra derivare sia dal siciliano che dal turco.
Ma è a Napoli che la parmigiana di melenzane diventa un’istituzione.
La prima ricetta scritta simile al piatto in oggetto è datata 1733 ed è quella di Vincenzo Corrado ne “Il cuoco galante” (dove però il cuoco pugliese dei nobili napoletani usava le zucchine).
Fu invece Ippolito Cavalcanti più tardi, apubblicare la ricetta come la conosciamo noi.

IL CAFFE’
Il caffè a Napoli è qualcosa di irrinunciabile. Puoi non amare la pizza metodo tradizionale, puoi non essere un amante dei dolci ma il caffè……lo devi per forza bere!
Se non sei di Napoli, forse non sai che il napoletano prima dice :”Buongiorno” e poi “ti posso offrire un caffè?
Ma perchè ci teniamo tanto a questo caffè?

Innanzitutto perchè sono tanti i significati profondi che si celano dietro una “semplice” tazza di caffè; tanto tempo fa la bevanda era strumento di “diagnosi” di buona o cattiva sorte, oggi è un momento di pausa che nessuno deve negarti; è inoltre il consolidamento di legami familiari e d’amicizia….insomma si può liberamente dire che fare e bere un caffè a Napoli è un vero rituale.
E se nella città di Pulcinella esistono delle vere mete del buon caffè (ognuno ha almeno 3 bar preferiti, dove “cà fann ‘o megliu caffè”), è anche vero che non tutti ne hanno gustato uno fatto con la tipica “cafettera napulitana“.

Il mondo lo sa bene, il caffè non ha nulla di napoletano: non deriva da prodotti campani e né tanto meno la sua storia è iniziata a Napoli.
Tuttavia, in una fase della storia italiana (metà del 1600 circa) la bevanda chiamata “kahve” venne preparata quasi in tutta la penisola….ed appena due secoli dopo (1800, in pieno Romanticismo) i napoletani se ne innamorarono. In tutta la città c’erano caffettieri ambulanti che preparavano il caffè diffondendo il caratteristico aroma in tutti i vicoli della città e tante urla (oltre ad invitare potenziali clienti, gridavano il nome del santo del giorno)….una figura che purtroppo è sparita del tutto (come molte altre ambulanti),

Ti consiglio di approfondire l’argomento leggendo un mio vecchio articolo: La leggenda del caffè

Anche in questo caso sono tante le leggende dietro al quesito: “ma come è arrivato il caffè a Napoli?”
C’è quella del musicologo romano Pietro Della Valle e della sua delusione amorosa che lo fece viaggiare in Terra Santa; oppure la leggenda che narra dell’uso delle foglie di caffè come medicinale nel periodo Aragonese (ovviamente prima del 1600)

Conosci altri piatti \ ricette che non sono nati\e a Napoli?
Commenta qui in basso e condividi il tuo parere.

E se l’articolo ti è piaciuto ti invito a condividerlo con chi vuoi

GUIDA alla LIM: cos’è e come si usa?

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 In quest’articolo imparerai:

  • ad avvicinarti alla LIM (lavagna interattiva multimediale);
  • a capire cosa puoi realmente fare con essa e se è davvero necessaria per la tua materia;
  • come collegarla al tuo PC;

Ma prima di iniziare questa vera e propria GUIDA ALLA LIM devo obbligatoriamente fare una premessa; devo obbligatoriamente catturare il tuo interesse confidandoti un pezzetto della mia vita. Ma sempre se ti va…..altrimenti salta tutto ed inizia a leggere direttamente dopo il mega titolo leggermente più in basso. Mica mi offendo :)

Questo è un articolo che avrei dovuto iniziare a scrivere nel 2008 quando per la prima volta mi avvicinai a questo potentissimo strumento, la LIM. In quegli anni lavoravo presso l’Istituto Professionale “B. Stringher” di Udine ed insegnavo, come oggi, Enogastronomia.
Dopo aver seguito un percorso interno sull’uso delle nuove tecnologie (all’epoca ancora non si usava la sigla TIC) la mia innata curiosità si focalizzò su questo strano strumento che tutto sembrava tranne che comodo da usare. 
Chi mi segue e mi conosce (virtualmente e realmente) sa benissimo quanto io ami la tecnologia; alcuni mi definiscono un cocktail geek \ nerd \ foodlover .
Proprio questa mia propensione verso la tecnologia ha permesso nel corso degli anni di affinare le  mie conoscenze. Ho realizzato diversi learning objects sparsi per la rete (mappe mentali e concettuali, schemi, video animati, grafici e tanto altro), realizzo periodicamente video didattici su youtube, ho creato e mantengo attivo questo blog, ho creato un’app per smartphone per i miei studenti e tengo corsi sull’uso della LIM per docenti delle scuole secondarie di II grado.
E più di tutto mi confronto. Ho sempre creduto che il confronto sia la chiave del successo in qualunque professione. Solo attraverso un dialogo reale e sincero con colleghi ed alunni (vicini e lontani) un insegnante può evolversi costantemente, mai completamente perchè come ben sai: NON SI SMETTE MAI DI IMPARARE.
PremessaPremes lunga ma doverosa…..perchè volevo farti capire che VIVO di questo quotidianamente: in classe e nel tempo libero.

Ed ora iniziamo…..

GUIDA PRATICA ALLA LIM
Questa guida da me realizzata è strutturata nel classico “BOTTA” e “RISPOSTA” ovvero dopo ogni domanda ci sarà la risposta.

Ti ricordo che in fondo pagina puoi commentare l’articolo. Se hai altre domande, fammele!

Iniziamo ==>


che cos’è la LIM ?”
La sigla LIM sta per Lavagna Interattiva Multimediale:
  • lavagna perchè la forma ricorda la lavagna di ardesia, uno degli strumenti didattici diventato nel tempo un simbolo della scuola.
  • interattiva perchè come vedremo in seguito non è esclusivamente uno strumento di proiezione (come una classica Tv). Sia il docente che il discente può creare o modificare un elemento in tempo reale “semplicemente” toccandolo;
  • multimediale perchè è uno strumento audio\video elettronico che consente la memorizzazione su determinato supporto.

cosa posso fare con la LIM ?”
Tutto! Anche il caffè!
Ovviamente scherzo. La LIM nasce come Lavagna quindi le funzioni base sono garantite: scrivere a mano libera, cancellare, riscrivere. Molte LIM prevedono un vero e proprio cassino (il cancellino – cimosa). Ovviamente si tratta di un dispositivo simile al mouse. Quando si alza dalla lavagna, il programma all’interno del PC in automatico passa alla modalità CANCELLA.
Cos’altro si può fare con la LIM:
  • proiettare video e testi scritti al PC;
  • fare ricerche sul web in tempo reale (sempre se il PC sia connesso al web);
  • sottolineare ed evidenziare tutto quello che sta sullo schermo;
  • ingrandire e rimpicciolire tutto;
  • creare dal vivo oppure mostrare degli schemi e delle mappe concettuali;
  • confrontare diverse immagini o schemi;
  • visualizzare presentazioni (basiche come quelle realizzate con PowerPoint);
  • far fare degli esercizi interattivi come i quiz ad esempio;
  • utilizzare CD e DVD contenuti nei libri di testo con all’interno tantissimi contenuti extra (che non trovi stampati sui libri);
  • vedere e sentire  tantissimi tipi files multimediali;
  • puoi creare tutto tu, senza più affidarti a riassunti o appunti per sintetizzare i contenuti del libro;

Ma la funzione più bella, quella geniale è che puoi SALVARE tutto quello che hai fatto. La LIM è la prima vera LAVAGNA con la MEMORIA. Non dovrai più chiedere ai tuoi ragazzi: “mi fate rivedere gli appunti presi la scorsa lezione“?

come funziona la LIM ?”
Esistono tante case produttrici che nel tempo hanno realizzato molteplici tipi di LIM; composte da hardware simili ma che operano in modi diversi (c’è la LIM con i pennarelli e quella con i buttons ad esempio) e con software dai diversi contenuti ed interfacce.
Credimi, se inizi ad usarne una, pian piano riesci ad usarle tutte. Però ti anticipo che bisogna prestare attenzione ad i formati dei files che userai per salvare la tua lezione (più avanti mi spiegherò meglio).
La LIM è composta (quasi sempre) da:
  • proiettore agganciato al soffitto;
  • piano\schermo per la proiezione e la funzione touch;
  • casse altoparlanti;
  • pc.

I primi tre componenti sono sempre fissi, vanno solo accesi. Quasi sempre tutti i dispositivi sono collegati ad una “ciabatta” (una multipresa con interruttore, che va accesa). 
Poi occorre verificare se i primi tre dispositivi siano in funzione (un led acceso, quasi sempre di colore verde ti conferma l’accensione).

Accendi il proiettore: avrai sempre a disposizione 1 o 2 telecomandi: uno per il proiettore ed uno per gestire il volume delle casse.
Ti accorgerai del proiettore acceso perchè inizierà ad illuminarsi ed a proiettare il logo dell’azienda produttrice.

Ricorda: sei TU a comandare la LIM….lei non è un essere vivente ma solo uno strumento. Se non fa quello che vuoi, forse qualcosa non funziona!

Ora non ti resta che accendere il PC.
Questi 4 dispositivi sono collegati tra loro fisicamente. Precisamente sotto i tuoi occhi trovi diversi cavetti come:
  • il cavo di uscita video che va dal PC al proiettore (quasi sempre si tratta di un cavo VGA ma potresti avere un proiettore collegato con cavo HDMI);
  • il cavo per l’audio che va dal pc alle casse;
  • i cavi di alimentazione che partono dai dispositivi e terminano con le “spine” nella “ciabatta” multipresa;
  • il cavo di comunicazione tra la LIM ed il PC (si chiama cavo USB). Senza l’inserimento di questo cavo la LIM funzionerà solo come una TV e non potrai interagire con essa;

Finora tutto molto immediato. Ma il quarto dispositivo che compone la “macchina” LIM ovvero il PC è il dispositivo che ti darà filo da torcere. E’ il cuore di tutto il sistema, è sia il luogo dove sono salvate le tue lezioni (quelle preparate a casa e quelle che farai in aula) ed anche il mezzo che permette la magia dell’interattività.


meglio avere un PC a scuola oppure un proprio PC?”
In molte realtà scolastiche si preferisce avere un PC fisso (grande o portatile) che non può essere spostato. Questa scelta implica vantaggi e svantaggi.


Vantaggi di avere un PC fisso dedicato esclusivamente alla LIM:
  • non devi portare con te un notebook\tablet\flybook (ed i relativi cavetti);
  • hai tutti i software (programmi) che servono già installati;
  • hai tutti i driver per i dispositivi già installati senza dover fare nessuna prova di connessione;
  • hai un dispositivo ready-to-use e quindi dovrai solo limitarti all’accensione ed all’utilizzo. Non dovrai collegare nessun filo;
  • l’unica cosa che devi portare da casa è una chiavetta USB con le lezioni ed il tuo materiale didattico (ed in molti casi puoi anche crearti una cartella sul PC fisso in classe ed evitare di portare anche la chiavetta);

Svantaggi di avere un PC fisso dedicato esclusivamente alla LIM:

  • il PC fisso viene usato da tutti, sia esperti che non esperti e questo comporta rallentamenti, cancellazione di files, virus, strane installazioni….e tanto altro;
  • il PC non è tuo e quindi non puoi personalizzare nulla e se lo fai devi essere consapevole che chi verrà dopo di te ha la tua stessa libertà di utilizzo e quindi potrebbe cancellare\modificare tutto;
  • sul PC fisso non sono presenti i programmi che tu usi a casa e molte volte se crei una lezione a casa, con il tuo PC questa potrebbe alterarsi sul PC fisso (problema di versioni tra applicazioni, programmi diversi, estensioni di files non leggibili); 
  • il PC fisso non sarà mai performante come il tuo PC personale (il tuo portatile sei tu ad amarlo ed a curarlo, quasi fosse un figlio). Il PC a scuola molte volte viene trascurato e (quasi sempre) presenta versioni di software troppo obsolete ed incomplete (softwares di prova…..i famosi shareware)

Come la vedo io? Meglio una borsa leggermente più pesante ma con dentro il PC che contiene l’universo della tua didattica che perdere tempo davanti ad un PC lento e stare lì ad imprecare davanti agli studenti o ad elemosinare in corridoio un tecnico informatico che non arriverà mai prima del termine della lezione. Ovviamente prima di portare il tuo pc personale dovrai assicurarti che riesca a comunicare efficacemente con la LIM che andrai ad utilizzare in classe.

lavagne come la SmartBoard della Promethean hanno anche pennarelli e cassino,
 ovviamente si tratta di dispositivi elettronici che si interfacciano con la LIM
“voglio usare in classe il mio PC. Come faccio a collegarlo alla LIM?”

Innazitutto occorre fare una distinzione in base al tipo di device (dispositivo) che tu hai: hai un notebook con Windows o con sistema Apple? Hai un tablet con Android? Un flybook con Windows e nessuna porta VGA?

Se non hai ben capito cosa ho scritto, durante la prima fase di lavoro devi rapportarti con la LIM in base al tuoi device (dispositivo). Genericamente ecco cosa ti occorre per collegare il tuo PC ad una generica LIM:

  • il tuo portatile deve avere uscita VGA oppure HDMI. Ovviamente se il proiettore è collegato in un modo rispetto all’altro devi avere sempre con te un adattatore;
  • se sei in possesso di un portatile di casa APPLE hai a disposizione la porta THUNDERBOLT che con l’opportuno adattatore permette l’uscita video (cerca sul web “adattatore mini display port”); 
  • se vuoi collegare il tuo tablet devi avere un’uscita video. Molti Tablet di ultima generazione hanno un’uscita MINI-HDMI e quindi devi prevedere un adattatore. Ti dico subito però che la LIM da il suo meglio con un portatile e non con Tablet;
  • se vuoi collegare il tuo IPAD devi avere a disposizione un adattatore chiamato “da Lightning a VGA” (o HDMI). Vale lo stesso discorso di performance dei tablet;
  • devi avere installato sul tuo dispositivo dei programmi chiamati DRIVER. Essi servono per permettere al tuo PC di riconoscere la LIM (per poter sfruttare la funzione TOUCH). Se non sei pratico ti consiglio di farti aiutare da qualcuno (come ad esempio il tecnico della scuola dove lavori);
  • a seconda della tua materia, del tuo modo di insegnare e soprattutto a seconda del tuo gusto in fatto di prodotto finale, in commercio che sulla rete troverai tantissimi programmi per creare delle lezioni interattive. Ti consiglio di installare sempre il software ufficiale che ti permette di sfruttare al massimo la LIM (con le SMART TECH ad esempio basta sollevare un pennarello e sullo schermo ti appare la funzione penna). Se non sei pratico ti consiglio inizialmente di fare delle prove a scuole (ovviamente non in orario di lezione) e di farti aiutare inizialmente da qualcuno (come ad esempio un collega che utilizza la LIM a scuola oppure chiedere consigli sul WEB);


in un’aula con la LIM devo obbligatoriamente usarla?”
No. Nessuno potrà mai obbligarti ad usare una LIM.
Però rispondi onestamente: “se avessi una Ferrari tutti i giorni, quando vai a lavoro o per il tempo libero, andresti sempre a 30 km/h?


non tutti sanno che il proiettore può essere regolato sia fisicamente (spostando ad esempio la messa a fuoco oppure la distanza dal muro) oppure con il telecomando. Esistono in commercio molti proiettori con l’audio integrato


come imparo ad utilizzare la LIM?”Innanzitutto ti consiglio di analizzare te stesso. Cerca di valutare il tuo livello di conoscenza sia sull’informatica in generale (hardware e software) e sia sulle TIC (tecnologie informazione e comunicazione). Come? Sul web puoi trovare tutto se usi le giuste keywords (parole chiave). Prova a digitare su GOOGLE ”scheda valutazione competenze informatiche
Solo dopo aver capito chiaramente da dove partire le possibilità di formazione sono molteplici:

  • chiedi al team dell’inovazione digitale del tuo istituto se ha previsto dei corsi interni;
  • molte case editrici di libri LIM-friendly organizzano corsi di formazione certificati a prezzi molto vantaggiosi per chi ha adottato i propri testi;
  • molte facoltà organizzano dei corsi riservati ai docenti;
  • in molte regioni d’Italia sono nati dei nuclei di lavoro digitale. Gruppi di insegnanti di diverse scuole che organizzano periodicamente corsi sul mondo della didattica digitale;
Non ti resta quindi che cercare sia nel mondo reale che quello virtuale. Diffida sempre dai corsi ONLINE perchè se vuoi imparare ad utilizzare la LIM devi averla davanti a te.

Ricorda sempre che il tuo sviluppo professionale dipende solo da te. Ovviamente continua a seguire questo blog e cerca gruppi nel web (soprattutto sui social-networks). Il confronto tra colleghi (anche di discipline diverse) è F O N D A M E N T A L E.


“è vero che con la LIM i libri non servono più?”
No. Il libro (per ora) resta comunque un punto di riferimento per l’insegnamento, sia esso reale o “elettronico” (e-book). La LIM è solo uno strumento, una finestra che permette  di sfruttare appieno le potenzialità dell’era digitale. Ma non è vero che serve per rendere le lezioni più coinvolgenti. Questo aspetto riguarda solo ed esclusivamente il modo di far didattica dell’insengnate: se il docente è “una palla” (noioso), sarà noioso anche con la LIM.


“posso affidare l’utilizzo della LIM ad i ragazzi in classe”

Non farlo sempre, cerca di essere sempre tu il faro che li guida durante la lezione. Ma è anche importante responsabilizzare i più giovani. Sai che ci sono sul web molti ragazzi che creano risorse (materiale di studio) e lo mettono ONLINE per i propri coetanei? Non è un caso se la prima parola nella sigla LIM è proprio LAVAGNA. Se ricordi questo, chiamerai molto più spesso i tuoi alunni all’azione. La LIM non va usata esclusivamente per guardare un film e vivere la lezione passivamente. MAI!


“tutto quello che faccio con una LIM, posso poi utilizzarlo su un’altra LIM?”

NI“….questa domanda è una grande domanda. Se ti sei posto il quesito significa che utilizzi già la LIM e\oppure pensi al futuro di tutte le lezioni preparate a casa e\o svolte in classe.
Se è vero che la LIM è una lavagna con Memoria, è vero pure che esistono svariati modelli di Lavagne Interattive e se salvi una lezione in un formato, non è detto che possa essere aperto con un altro PC. Fino a qualche tempo fa era impensabile utilizzare software di una lavagna con un altro modello. Ora le cose sono cambiate: l’unica cosa che devi avere installato sul PC che userai sono i driver per far comunicare PC e LIM. Poi puoi usare qualunque software.

Clicca qui e visualizza la mia RUBRICA DIDATTICA con tanti approfondimenti interessanti: TIC, strategie e metodologie didattiche e tanto altro.. 

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Nel prossimo articolo condividerò con voi una lista dei programmi migliori per la LIM e tanti link utili con tanto materiale divisi per disciplina.

Vuoi dire la tua? Hai trovato quest’articolo ben scritto oppure incompleto? Vuoi dire la tua e condividere la tua esperienza? In basso trovi il formaggio per i commenti!

Quando gli insegnanti lottano con la tecnologia…..

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*questo post è rivolto agli insegnanti e a tutte quelle persone che non amano la tecnologia*

E questo come funziona? oppure “io di tecnologia non ne capisco niente” …. queste le frasi celebri di moltissimi insegnanti.
Che si tratti di allegare un documento ad una mail o di creare una presentazione in Power-Point,  molti insegnanti piangono davanti allo schermo del proprio PC. Ormai in tutte le scuole non si parla che di L.I.M., di Notebook, dell’uso della tecnologia per la didattica e chi non è padrone di questi strumenti digitali si sente frustrato, emarginato ed inutile.
E se adesso scrivessi qualche consiglio per aiutarvi ad affrontare questo cambiamento??
CONSIGLIO 1: Forma un gruppo con chi ne capisce di più
E se vi uniste ad educatori che ne capiscono di più? Davanti ad un bel caffè, oppure durante la pausa o dopo i consigli di classe potreste magari formare un gruppo di persone che potrebbero collaborare per formare insegnanti e magari riempire le lacune di alcuni colleghi.durre la tecnologia nelle loro classi .
CONSIGLIO 2: Parlate di tecnologia in classe.
Condividete la vostra ignoranza con i vostri alunni. Da qualche parte dovete anche iniziare…e allora perchè non farlo con i vostri giovani alunni (i famosi nativi digitali). Loro hanno una piena padronanza degli strumenti digitali e possono aiutarvi a capire tante cose. 
CONSIGLIO 3: Social è meglio.
Se non siete iscritti sui social network, dovete farlo immediatamente ed iniziare ad usare questi nuovi strumenti di comunicazione. Anche perchè grazie ad essi passerete più tempo davanti al pc e + tempo davanti al pc=miglior capacità di utilizzo grazie alla pratica.
CONSIGLIO 4: bisogna lavorare anche a casa.
Il tempo a scuola è sempre di meno, tra lezioni, pausa, incontri con qualche genitore…quand’è che trovate il tempo di impostare una lezione oppure utilizzare il pc. Dovete iniziare a concepire che se non sapete usare un computer dovete studiare, studiare, studiare…ed il posto ideale per farlo è la propria casa. 
CONSIGLIO 5: mutamento mentale
Alcuni insegnanti ritengono la tecnologia un nemico ed una cosa inutile. Se siete di quest’idea non avvicinatevi ad essa. State bene come state, con i vostri libri di carta, i vostri post-it ed il vostro registro di classe…..ah, dimenticavo…ormai bisogna compilare il registro digitale….ops…(o cambiate…o cambiate).
CONSIGLIO 6: incoraggiate chi sa meno di voi
Ci sarà sempre chi sa meno di voi…chi non sa nemmeno usare la tastiera o non conosce la differenza tra un file .pdf ed uno .doc. Dovete incoraggiarlo a migliorare, una volta imparato qualcosa condividetelo con gli altri colleghi…solo così diverrete coscienti delle vostre capacità e migliorerà anche il vostro modo di esprimervi in termini tecnologici. Incoraggiate gli altri a provare cose nuove, magari insieme….
Qualche altro consiglio??

Bastano questi 6 consigli per un insegnante 
per padroneggiare la tecnologia?

Il gioco del Naufrago: analizzare i propri studenti

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Come mai sul blog di un insegnante di cucina appare 
improvvisamente un gioco di gruppo?
Molto semplice, perchè “Il gioco del Naufrago” è un gioco di ruolo sulla leadership.
Il modo di lavorare nelle aziende è molto cambiato e potrebbe capitare sempre più spesso per un dipendente di prender parte ad un gioco come organizzato dal proprio datore di lavoro specialmente durante la fase del reclutamento.
Il docente diventa così un Team-Builder ovvero una persona specializzata in grado di analizzare le persone che ha davanti e riuscire a creare gruppi di lavoro e\o a potenziare oppure scartare determinate abilità presenti nel team. Questa è una vera e propria figura professionale, non certo frutto della mia fantasia.
Personalmente faccio questo gioco ogni inizio anno, quando le classi si sono appena formate e quando incontro per la prima volta i miei ragazzi in aula. Con questo espediente riesco a valurare le competenze relazionali di ognuno mettendone in risalto pregi e difetti quando cercano di lavorare in gruppo.
La classe simula così un vero e proprio work-group: quando sei a lavoro difficilmente puoi scegliere con chi lavorare, devi abituarti ed in alcuni casi sforzarti per una pacifica convivenza.
Lo stesso avviene in una classe; nessuno sceglie il proprio compagno di banco eppure occorre rendere piacevole la convivenza specialmente durante le ore di lezione.
Ecco di seguito le istruzioni per questo gioco.
Istruzioni:
Fai dividere la classe in 3, 4 gruppi.
Chiedi poi ad i tuoi alunni di chiudere gli occhi e di immaginare che si trovino bordo di una nave che lentamente va alla deriva; dei guasti giganteschi impediscono il ripristino dell’imbarcazione. Non si può lanciare un SOS in quanto la radio è rotta e bisogna rapidamente abbandonare la nave.
L’unico modo per sopravvivere è quello di riuscire a prendere una scialuppa e remare fino ad un isolotto lì accanto. Purtroppo la dimensione della scialuppa di salvataggio permette di portare con sé un carico limitato di oggetti.

Il gruppo che vuole a tutti i costi sopravvivere deve scegliere solo 5 oggetti tra:

  • una valigia contenente coperte;
  • una cassetta di utensili;
  • una cassetta di medicinali;
  • una cassetta di liquori;
  • una scatola di viveri;
  • una cassetta di armi;
  • una piccola cucina da campo;
  • un cane che e’ la mascotte del gruppo;
  • dei salvagente (non per tutti);
  • la radio di bordo nella speranza di riuscire a ripararla.
Il gruppo di giovani sopravvissuti deve inoltre dare una priorità agli oggetti che compongomo la lista creata motivando perchè alcuni sono più importanti di altri e perchè alcuni non sono stati proprio portati con se.
Il gioco termina quando tutti i membri del gruppo riescono a trovare soluzioni comuni ed essere d’accordo sulle scelte prese.
Perchè questo gioco?
Con questo gioco, come avrai letto prima, riuscirai a capire se il gruppo è abituato a lavorare assieme e potrai individuare chi invece non riesce a fare gioco di squadra.
Nel contesto classe conoscere abilità/carattere dei propri discenti é fondamentale e una corretta fase di diagnosi permette la correziome di atteggiamenti sbagliati ed il potenziamento di abilità già in possesso dei ragazzi.

ENJOY SCHOOL

L’arte dei Pizzaioli Napoletani: patrimonio immateriale

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Inizio così:
LA PIZZA NAPOLETANA NON E’ TUTELA UNESCO
LA PIZZA NAPOLETANA NON E’ PATRIMONIO IMMATERIALE
LA PIZZA NAPOLETANA NON E’ TUTELATA NEL MONDO
Sono stato brusco, lo so, ma solo perchè ho letto ed ancora leggo tanti articoli scritti mali; MADORNALI errori su questo argomento fatti da chi scrive di Enogastornomia da anni.
Questo, mio caro lettore, è un argomento che “va preso con le pinze” perchè ha messo in moto molti meccanismi da tempo assopiti….come leggerai più avanti.
Cosa ha deciso l’Organizzazione delle Nazioni Unite? 
Cosa ha veramente tutetalo il 7 dicembre 2017?
Cito testualmente cosa ha scritto l’UNESCO nella decisione finale:
il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da palcoscenico durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti…”

Quindi, riflettendo, è evidente che a diventare patrimonio immateriale dell’Umanità è il “know-how” che possiamo tradurre benissimo con il termine arte che i grandi pizza-makers napoletani custodiscono da secoli e tramandano di generazione in generazione senza gelosia, senza conservare nessuno segreto ma restando fedeli a se stessi ed a quel disco di pasta “cà pummarola ngoppa” famoso in tutto il mondo.
Ed allora cosa li differenzia e li rende unici rispetto ai pizzaioli nel resto del globo? 
Conosco molti pizzaioli napoletani: bassi, alti, magri, grassi, biondi, castani, più simpatici e quelli meno simpatici. In ogni caso, posso dire che tutti i pizzaioli napoletani conservano nel loro cuore un amore potente verso il mestiere che fanno.
Come si diventa Patrimonio Immateriale?
Un percorso iniziato nel 2009 dal ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (con il Ministro Luca Zaia) che con il supporto della Regione Campania e dell’Associazioni Verace Pizza Napoletana compilò i documenti necessari per la candidatura. Ora, dal 7 dicembre 2017, il sogno è diventato realtà: “L’arte del pizzaiuolo napoletano è patrimonio culturale dell’Umanità Unesco. Vittoria! Identità enogastronomica italiana sempre più tutelata nel mondo“, questo il tweet scritto il dall’attuale ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina. 

Maggiori dettagli sulla pagina del sito ufficiale dell’UNESCO. CLICCA QUI

foto apparsa sul quotidiano “IL MATTINO” di Napoli
Quel giorno a Napoli fu una festa per tutta la città, tutte le pizzerie contribuirono alla felicità dei cittadini sfornando pizze gratis e festeggiando con musica e balli.

UN PATRIMONIO IMMATERIALE CHE VA OLTRE LA SEMPLICE PRODUZIONE ALIMENTARE

La dichiarazione dell’UNESCO sulle motivazioni che hanno spinto alla tutela continua e diventa ancora più incisiva : “Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale
Si evince che i pizzaioli napoletani hanno una marcia in più, non solo maestri nel fare pizza ma anche maestri di vita capaci di trasformarsi in attrattori/attori della tradizione napoletana, dalla musica alla lingua. Oltre ad esportare l’arte del saper fare la VERA pizza, sono abili lavoratori che diffondono la napoletanità nel mondo.
Rifletti…..se scrivo NAPOLI tra le immagini che ti vengono in mente non c’è forse una bella pizza margherita fumante?

NAPOLI, bella e piena di problemi, come Marylin Monroe


Il video bellissimo della Factory FATELARDO di Egidio Cerrone (alias Puok & Med) è bellissimo. In  pochi minuti riesce a trasmetterti un carico enorme di emozioni (e molto orgoglio per me che vivo all’ombra del Vesuvio). Un vero e proprio spot che inneggia alla bellezza dell’arte dei pizzaioli.

Non l’hai ancora visto? Eccolo per te, pubblicato dal portale FanPage Napoli

Location: la pizzeria Da Michele a Forcella.
In ordine di apparizione: Alessandro Condurro, Antonio Starita, Ciro Oliva, Gino Sorbillo, Enzo Coccia ed in secondo piano, sfocato, appare la sagoma di , il pioniere dell’eccellenza degli ingredienti sulla pizza.
Dopo il 7/12/17 cosa cambia per la pizza?
La risposta riesce a rispondere anche ai tanti che si chiedono il perchè di tanto affanno per raggiungere questa tutela.
Per fortuna o sfortuna (bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto) la pizza viene mangiata in tutto il mondo. Ma il mondo non è così piccino come può sembrare ed in molti paesi accadono “strane” cose come ad esempio il caso degli States dove in alcuni stati credono fermamente che la pizza sia un’invenzione americana.
Per me, quel tipo di pizza, se la possono tenere bene stretta……UNA VERA SCHIFEZZA.
Per festeggiare questa grande conquista è stato riacceso l’antico forno presso il Casamento Torre nel Real Bosco di Capodimonte. Questo è il forno dove fu cotta la prima Pizza Margherita nel 1889 dal pizzaiolo Raffaele Esposito che lavorava per la pizzeria Brandi per omaggiare la Regina Margherita di Savoia 

Occorreva quindi uno strumento che riuscisse a salvaguardare tutto questo  e soprattutto la fantastica pizza Napoletana che adasse oltre la tutela europea STG (Attenzione, Unione Europea, non tutta l’Europa).

Conosci i marchi europei? Leggi ed informati ora. CLICCA QUI

Purtroppo la difesa della pizza napoletana per mezzo tutela marchio STG (specialità tradizionale garantita) non è stata “soddisfacente”. Tra i tanti vincoli della normativa c’è quello che nel locale per esporre l’etichetta “qui realizziamo pizza STG” gli operatori (i pizza makers appunto) devono frequentare un corso e eseguire dei test scritti. Ebbene, in molti casi quest’attestazione viene rilasciata senza frequentare alcun corso….pagando una cifra maggiore (come avviene ancora oggi, tristemente, con la patente di Guida). Notizia grave e triste che non vede protagonista solo la cara Napoli ma coinvolge tutti i paesi dell’Unione Europea.

Speriamo quindi che quest’ulteriore conferma dell’unicità del prodotto (stavolta a livello mondiale) permetta di salvaguardare non solo il prodotto ma soprattutto l’arte sapiente di questi grandi maestri.

Ricorda che ad essere patrimonio 
immateriale dell’umanità 
è “L’arte dei Pizzaioli Napoletani

Il caffè è tutto ITALIANO…o quasi: 4 italiani dietro la tazzina

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Il caffè è una delle bevande più bevute al mondo, datata addirittura prima del 900 d.c. grazie ad alcuni reperti archeologici rivenuti recentemente.
Tutti noi sappiamo che l’origine del caffè non è italiana ma che la bevanda nasce nei paesi orientali (in Etiopa, solo per citarne uno).
Vuoi conoscere la storia e la leggenda della bevanda caffè? CLICCA QUI
Ma quello che forse sfugge ai molti è che il successo della diffusione di questa calda bevanda è da attribuire a due fattori. 
Innanzitutto il fattore gusto. Nessuno può mettere in dubbio la qualità dell’aroma di un buon caffè.
E poi il fattore sociale: se il caffè è diventato una bevanda tanto consumata lo deve alla sua dimensione culturale e sociale. Si beve caffè non solo perchè piace ma anche per stare assieme; dietro quella tazza fumante si instaurano nuovi accordi, si dialoga tra colleghi, ci si concede un momento di relax prima di tornare a lavoro.
Quest’infuso ha sempre avuto un’anima “social”: le tribù nomadi ancora si radunano per consumare assieme caffè ma è grazie all’apertura dei primi locali in Europa se oggi anche noi occidentali attribuiamo al caffè non solo caratteristiche organolettiche. 
Ebbene non tutti sanno che la storia del caffè espresso come lo conosciamo oggi ovvero come bevanda sociale consumata in un tipico locale vede protagonisti degli italiani.
Ecco i nomi, i volti e come hanno contribuito:
Francesco Procopio dei Coltelli
Siciliano che visse in Francia tant’è vero che gli amici siculi amavano chiamarlo Procopio Cutò (in francese coltello si dice couteaux
Famoso nella storia per aver creato la prima macchina gelatiera (mi riserbo di scrivere un post sulla storia del gelato quanto prima).
gelatieri dell’epoca
E’ stato Procopio ad aprire il primo caffè della storia nel 1686.
Riuscì ad inaugurare nella capitale francese un luogo che diventò in poco tempo il più famoso di Parigi: il caffè Procope.
Fino ad allora c’erano “botteghe del caffè” ovvero locali dove si consumava esclusivamente caffè; col tempo ampliarono la loro offerta enogastronomica prendendo come riferimento il caffè Procope.  

Tra i frequentatori abitué c’erano Napoleone, Benjamin Franklin, Voltaire, Victor Hugo, Robespierre, Marat, Diderot, D’Alembert….e tanti altri…

Ancora oggi il locale conserva una memoria storica impressionante ricco di cimeli storici acquisiti nel tempo (il locale fa parte dei Monumenti storici della capitale). 
In questo caffè si è fatta davvero la storia.
Angelo Moriondo
E’ stato lui a creare la prima macchina per il caffè a pressione per caffè espresso.
Ristoratore ed albergatore torinese, Moriondo gestiva diverse attività. Assieme al meccanico  presentò nell’Expo Generale di Torino 1884 la prima macchina per il caffè espresso.
Tramite un ingegnoso sistema di serpentine l’acqua bollente veniva erogata con fortissima pressione attraversando un contenitore con polvere di caffè.
il progetto originale brevettato
Il nome del brevetto però secondo me era migliorabile: “Nuovi apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantanea del caffè in bevanda. Sistema A. Moriondo“.
Angelo Moriondo non commercializzò mai la propria invenzione ma si limitò a creare macchine per le proprie attività a Torino
Più tardi, un altro italiano, il meccanico Luigi Bezzera, migliorò la macchina ribrevettandola e cedendo poi i diritti a Desiderio Pavoni che nel 1905 iniziò a produrre in serie la macchina per il caffè espresso. Per ottenere il caffè occorreva quasi un minuto.
Nel tempo sono stati tanti gli italiani che hanno contribuito al miglioramento della macchina ed alla sua diffusione. In particolare Pier Teresio Arduino ed Achille Gaggia.
Luigi Lavazza
Nel 1895 decise di diventare imprenditore aprendo la prima Drogheria Lavazza, a Torino.
Un uomo che vendeva tanti articoli e spezie, tra cui anche il caffè. Decise di intraprendere un viaggio verso le origini del caffè ed al suo ritorno, intuì che era possibile miscelare caffè di diversa provenienza.
Nasce l‘arte del blending (la creazione delle miscele).
Più tardi la piccola drogheria diventa un’azienda che cresce esponenzialmente fino a diventare uno dei simboli dello sviluppo industriale italiano.
Achille Gaggia
Se è vero che Angelo Moriondo è stato l’inventore della macchina del caffè espresso, è pur vero che il barista Achille Gaggia nel 1938 brevetta una macchina che non utilizza vapore. 
Attraverso un meccanismo a pistoni che spinge a pressione l’acqua ad alta temperatura attraverso la macinatura del caffè. Questo meccanismo permette di produrre uno strato di olio di caffè sulla superfice della bevanda….ovvero la crema. Nasce l’espresso italiano crema, come lo conosciamo oggi e per ottenerlo bastavano 25 secondi (proprio come oggi)
presso il MUMAC (museo per la macchina del caffè) è possibile
visionare quasi tutti i modelli di macchine per caffè espresso che si sono susseguiti nella storia.
Clicca qui per il sito ufficiale del MUMAC
Qual’è il futuro del caffè?
Ti anticipo che nel prossimo articolo parleremo di macchine del caffè ad aria compressa….
STAY TUNED!

La colomba pasquale: storia tra mito e verità

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Fantastico dolce che prepariamo solo noi italiani, esportandolo in tutto il mondo.
Che sia artiginale di pasticceria o presa dagli scaffali del supermercato, la colomba pasquale è un dolce tipico MADE IN ITALY che ciclicamente torna sulle tavole di noi italiani.
Nel post conoscerai la storia e capirai che la sua creazione è avvenuta molto tempo fa.

LE ORIGINI
Esistono numerose leggende sulla nascita di questo dolce, ma non tutte autorevoli.
Sul web  troverai numerose storie, molto affascinanti che però non sono sostenute da nessuna prova certa.
Come detto prima, sono solo tre le storie accertate da fonti scritte.
La battaglia di Legnano
Questa battaglia fu rapida e fulminea, fu improvvisa e non pianificata. Nella zona dell’Altomilanese (tra Legnano e Borsano) l’esercito di Federico Barbarossa all’improvviso si ritrovò davanti le truppe della Lega Lombarda. Il primo da qualche tempo stava combattendo contro il Sacro Romano Impero Germanico per riuscire a dominare l’Italia Settentrionale (…ma questa è un’altra storia).
La battaglia fu determinante per respingere Federico Barbarossa e per unire i comuni italiani (seppur brevemente) e venne vinta dall’esercito del Carroccio. La leggenda narra che durante la battaglia si posarono tre colombe bianche sopra i vessilli e le insegne lombarde; da sempre le colomba simbolo di fortuna e gloria  auspicarono il buon esito della battaglia.
Dipinto di Amos Cassioli conservato nella Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze
Curiosità: purtroppo molti italiani (me compreso) conoscono solo la prima strofa del nostro INNO NAZIONALE, scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847. Ebbene, nella seconda strofa si fa riferimento proprio a questa battaglia “Dall’Alpi a Sicilia Dovunque è Legnano…..” proprio perché fu un momento storico di forte unione “italica”.
L’assedio di Pavia
Anno 572 d.c., alla vigilia della Santa Pasqua.
In numerosi testi scritti si parla dell’assedio della città fortezza di Pavia da parte del re Alboino, sovrano dei longobardi. Il sovrano era davvero intenzionato a devastare la città e massacrare i suoi abitanti perchè qualche tempo prima ostacolarono l’avanzare delle truppe longobarde. Fu un assedio lunghissimo che durò ben tre anni. La città rischiò di essere messa a ferro e fuoco ed alla  fine venne espugnata ed i longobardi entrarono. Davanti a tutti re Alboino: i pavesi cercarono in tutti i modi di placare l’ira del vittorioso sovrano ed alcuni fornai prepararono un dolce per l’occasione.
Una colomba di pane dolce, simbolo di pace; il gesto piacque tantissimo al re dei longobardi che decise di ritirare il suo esercito.
La figuraccia della regina Teodolinda
Esiste una terza storia, anch’essa corredata da fonti andiche.
Nel 600 San Colombano visitò la corte della regina longobarda Teodolinda. La moglie del re Agilulfo si convertì al cristianesimo proprio grazie alle predicazioni di Colombano e divenne nel tempo fervente praticante.
Un giorno organizzò un sontuoso banchetto pieno di ogni delizia. Ma c’era un problema: i monaci assieme a Colombano facevano voto di penitenza e quindi non potevano mangiare tutta quella carne.
Il santo, allora abate, per evitare che la regina potesse offendersi, avrebbe quindi trasformato le pietanze servite in pani bianchi e candidi, dalle tipiche forme della colomba. 
La mia teoria
Anche io ho la mia teoria, che porto da sempre con me.
Fin da piccolo mi sono sempre detto: “ma a me non sembra che la colomba abbia la forma di una colomba, mi sembra più simile ad una croce”. Ed ecco la mia teoria. Girovagando un po’ tra libri e web ho capito che l’origine di questo dolce va ricercata in un determinato periodo storico, precisamente nel periodo in cui in Italia regnavano i Longobardi.
Così ho sovrapposto la colomba alla croce longobarda……
Magari chissà….con il tempo quest’articolo potrebbe fare il giro del mondo fino ad arrivare ad Alberto Angela che potrebbe farne uno speciale.
LA “RINASCITA” A MILANO
Possiamo liberamente dire che la colomba come la conosciamo noi oggi ha una storia molto, molto recente.
Protagonista della “rinascita” e della riscoperta di questo dolce è la MOTTA, azienda leader nel mondo dolciario italiano (e non solo). Uno dei primi successi dell’azienda fu il panettone; il dolce deve il suo successo sia alla qualità ma soprattutto al periodo storico. Angelo Motta infatti, iniziò a produrrre su larga scala i panettoni durante il dopoguerra, un periodo di enorme povertà; scomponendo questo dolce ci accorgiamo che è composto da ingredienti molto economici…..ma non è facile da preparare.
una locandina originale 1940

Ritorniamo alla colomba: intorno agli anni ’30 tra i dipendenti della MOTTA c’era Dino Villani (direttore pubblicità) che un giorno pensò bene immettere sul mercato “qualcosa” di innovativo e che al tempo stesso permettesse di adoperare gli stessi macchinari ed ingredienti simili (già in deposito) che l’azienda usava per la produzione del panettone. Fu un colpo di genio: l’azienda infatti divenne ancora più celebre e la colomba di Angelo Motta è tra le colombe più consumate da noi italiani.

LE COLOMBE SICILIANE
Esistono altri dolci che si ispirano alla colomba. Sono preparati a in Sicilia, sopratutto a Ragusa. Si tratta di piccoli panini a forma di colomba…

..ma per maggiori dettagli mi riservo di scrivere un altro articolo.

Se quest’articolo ti è piaciuto all’interno del BLOG trovi un’intera sezione dedicata alla storia ed alle curiosità dell’enogastronomia. CLICCA QUI
Se conosci altre curiosità legate a questa preparazione dolciaria, ti invito a commentare in basso.

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Netflix: tra food e tanto altro…..

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Sono sempre stato un’appassionato di cibo, di tutti i tipi di cibo, sia esso junk-food che di alta qualità.
Sono sempre stato spinto dalla curiosità di provare e cerco di trasmettere la stessa curiosità ai miei ragazzi a scuola; chi mi segue da tempo sa che se nel mondo virtuale sono un blogger, nel mondo reale insegno…..e devo ammettere che da qualche tempo noto nelle nuove generazioni un grande disinteresse nelle tematiche che riguardano l’attualità (siano esse notizie frivole o dagli impontarti risvolti etici).
Negli ultimi tempi ho scoperto una bacheca mediatica di enorme spessore e qualità: NETFLIX.
Sarò sincero! Inizialmente l’ho usato per serie TV e per guardare film d’intrattenimento ma da un po’ di tempo a questa parte sto letteralemente FAGOCITANDO i documentari che parlano di food.


NETFLIX ed il FOOD
Sono sempre di più i programmi che parlano di cibo (scrivo spesso sul blog del rapporto TV – Cucina). E sono sempre di più di documentari realizzati con tecniche moderne, che non si limitano a farti capire un argomento ma ti immergono completamente in una storia raccontandoti le tante sfaccettature e (a me capita) riuscendo ad entusiasmarti e farti viaggiare con la mente…come se tu stessi davvero in quel posto in quel momento.
Ebbene, questo mix di sensazioni io lo sto provando con i documentari ed i reportage su NETFLIX.
In questo post cercherò di trascinarti nel mondo della TV on DEMAND e di catturare la tua attenzione elencandoti alcuni dei tantissimi programmi che ho visto su NETFLIX e che mi sono piaciuti davvero.
Sono tutti documentari dedicati al mondo dell’enogastronomia, che puoi far guardare a grandi e piccini (con le dovute accortezze).

In un mio articolo elenco alcuni film molto interessanti da far vedere in classe in un istituto professionali enogastronomico. CLICCA QUI per leggere il post

Ovviamente per visualizzare questi programmi ti occorre un account NETFLIX ed un dispositivo che userai per la visione.
Accedendo all’app NETLIX basta cercare la parola “food” per trovare tantissimi programmi (molto ultile anche la funzione “suggerimenti”)

Ecco quindi cosa un FOOD LOVER deve vedere OBBLIGATORIAMENTE su Netflix
THE MIND OF A CHEF => è una serie-tv giunta alla sesta stagione (su Netflix per ora si arriva fino alla quinta). Ogni stagione segue uno o due chefs per tutte le puntate permettendo la piena comprensione della loro filosofia e delle loro tecniche culinarie. Tutti chef di fama internazionale come Sean Brock, April Bloomfield, Edward Lee, Magnus Nilsson, Gabrielle Hamilton, David Kinch, Ludo Lefebvre…
JIRO E L’ARTE DEL SUSHI => si tratta di un film documentario che permettere di viaggiare lontano, in Giappone per l’esattezza. Potrai vedere il fantastico ristorante di Jiro e comprendere che dietro alla preparazione del VERO SUSHI c’è qualcosa che trascende le tecniche culinarie. Qui i cuochi sembrano seguire un vera religione che persegue la perfezione sensoriale. Vuoi saperne altro? Il ristorante ha solo 10 posti a sedere, tutti davanti al sushiman, è tre stelle michelin e bisogna prenotare un anno prima.
EMPIRE OF SCENTS => Conosciuto anche con il nome “LE NEZ” questo documentario non parla di cibo ma del senso meno apprezzato dai molti ma fondamentale per chi lavora nell’universo dell’enogastronomia: l’olfatto. Sin dall’alba della nascita dell’uomo è uno strumento per la sopravvivenza e uno strumento per il piacere. Senza il nostro senso dell’olfatto non potremmo apprezzare il cibo che mangiamo (contiene qualche scena adatta ad un pubblico maggiorenne).
LIVE AND LET LIVE => un film documentario che cerca di esaminare la nostra relazione con gli animali e le motivazioni che spingono le persone a stravolgere il loro stile alimentare. Si parla di veganismo e delle motivazioni dietro questa scelta: dal macellaio allo chef vegano, dal contadino al proprietario della fattoria vegana. Questo film racconta le storie di sei persone che hanno deciso di smettere di consumare prodotti  di orgine animale e permette di osservare l’impatto che questa decisione ha avuto sulle loro vite
SCELTE ALIMENTARI => Film documentario che studia attentamente il nostro modno moderno, ricco di tantissime scelte di vita. Stili di alimentazione spinti molte volte da profonde motivazioni. il cambiamento inizia da noi stessi e dobbiamo imparare che noi possiamo infliuenzare il mercato alimentare con “la scelta“, una potentissima arma che purtroppo non tutti sappiamo usare.
COOKED => Si tratta di una serie-tv stupenda. Dalla fotografia alla regia, tutto è stato realizzato ad opera d’arte. Il narratore è Michael Pollan, editorialista\scrittore\giornalista\esperto del food (lavora per il New York Times…..). In tutte le puntate sembra di leggere un libro ad alta voce, le parole scelte da Pollan sono magnetiche, piene di passione e riescono a racchiudere un gran numero di significati. Gli episodi hanno un tema: gli elementi Fuoco, Acqua, Aria, Terra.
THE KIDS MENU => Un film documentario in cui si parla delle scelte alimentari adottate per i bambini; scelte consapevoli che promuovono il consumo di frutta, verdura, cereali integrali e alimenti non di origine industriale. Il programma si concentra sull’educazione alimentare dei bambini. Ci sono interviste davvero notevoli ed una sana esplorazione sulle tante alternative alimentari salutari. Inoltre vengono analizzati e messi a confronto diversi programmi di salute e benessere creati e\o adottati nelle scuole e nelle comunità degli Stati Uniti.
WHAT THE HEALTH => un documentario molto fazioso che sconcerta per le enormi esagerazionni proposte. Il film affornta il problema della cattiva nutrizione esagerando in molti casi: “Bere latte causa il cancro” e  “Mangiare un uovo equivale a fumare 5 sigarette”. Secondo me resta comunque un documentario da vedere per capire la filosofia dietro alla scelta di essere vegano. Ma non occorre credere a tutto quello che si afferma.

ROTTEN => Si tratta di un format composto da sei episodi tematici. L’obiettivo è stimolare il senso critico di noi consumatori (ed anche operatori della ristorazione). La denuncia all’interno delle puntate trasforma questi documentari in una vera e propria “crime series“. Si parte dagli alimenti che compongono un piatto per poi evidenziare un sistema di produzione e distribuzione avido e molte volte vigliacco che mira esclusivamente al denaro danneggiando i consumatori molte volte in modo irrimediabile.
TUTTO SULL’ASADO =>Un film documentario con un tema ben definito: lo stile di lavorazione e cottura della carne in Argentina. Il film descrive dettagliatamente, ed in modo a volte molto ironico e divertente, le tecniche di preparazione e cottura mescolando il tutto con i sentimenti degli operatori coinvolti: cuochi, allevatori, famiglie….
SOMM IN BOTTIGLIA => Su NETFLIX  non si parla solo di cibo e questa serie lo dimostra benissimo. In Somm in Bottiglia si parla di Vino, esclusivamente di Vino: un film-documentario in lingua inglese con sottotitoli. Nel reportages ci “immerge” nel fantastico mondo del vino: si parte dalla terra ovvero dalle aziende vitivinicole e dai vigneron (vignaioli francesi) per poi percorrere pian piano il processo di produzione terminando con la degustazione fatta da importanti sommerlier.
THE BIRTH OF SAKE’ => E’ un documentario cinematografico che svela la storia dietro la produziione di saké e di tutti gli ingredienti che lo compongono. Si nota immediatamente la fantastica fotografia e l’uso magistrale delle melodie e dei suoni; il film analizza la produzione della Yoshida Brewery, un’azienda vecchia 114 anni che di trova nel nord del Giappone. Una vera arte, piena di tecniche meticolose e con una forte carica spirituale.

UN ANNO NELLA CHAMPAGNE => Un altro film documentario che parla della Champagne, la regione in Francia in cui si produce il celebre vino spumante. Trante maison ed aziende familiari, ognuna caratterizzata da aspetti produttivi e gestionali unici. E’ un documentario diverso dagli altri citati (oserei dire meno professionale dal punto di vista delle riprese) ma i contenuti ed i dialoghi sono davvero ben realizzati.
P.S.  Ho da poco iniziato a vedere CHEF’S TABLE…una serie che permette di vivere la giornata tipo di chef di fama mondiale (Massimo Bottura, ad esempio solo per citarne uno). Ma per quest”opera, sempre disponibile in HD su Netflix, mi riservo di dedicare un intero post.
E tu? Se vuoi condividere la tua esperienze su Netflix e\o se conosci altri programmi interessanti trasmessi su questo colosso della Tv-On-Demand commenta in basso!
Ringrazio Luca
con cui condivido l’abbonamento Netflix.
Grande amico, dolce come una Ciliegia e frizzante come il Lambrusco, 
…insomma….un modenese D.O.P.

PORCA TROIA: un’offesa nata da una ricetta

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Non sono solito dire “parolacce” e se a volte mi scappa è sempre quando mi trovo da solo davanti al volante….credimi…qui a Napoli sanno davvero farti imbestialire per strada.

Come potrai notare all’interno dell’articolo troverai più volte l’offesa oggetto di studio ed approfondimento. Ovviamente nel post ho cercato di ripetere il meno possibile la parola….”tu sai quale

Capita molte volte di usare delle offese ma di non conoscerne l’origine: è il caso dell’offesa TROIA o nella versione completa PORCA TROIA.
E’ una grande offesa, una vera e propria sentenza morale volgarissima che si rivolge in modo specifico ad una donna che molti credono semplice sinonimo di “donna di facili costumi” ……ma non è proprio così.
Ma perchè un blog che parla di enogastronomia dovrebbe pubblicare un aricolo simile?
TIENITI FORTE
(rullo di tamburi)

L’offesa “Pxrxa TxOxA” possiamo certamente affermare ha origine “gastronomica“.

Fino a qualche secolo fa la sola parola “Trxix” indicava la femmina del maiale ovvero la scrofa (in certe parti d’Italia è ancora d’uso così).
Approfondendone l’origine quello che leggerai tra poco sarà sorprendente.

LA RICETTA ROMANA
Gli antichi romani, gran mangiatori di carne, erano soliti consumare animali interi arrostendoli su braci ardenti (qualcuno oggi li chiamerebbe pit-masters).
Tra i tantissimi animali che cacciavano il cinghiale (in latino porcus) era tra i preferiti, preparato specialmente per sontuosi banchetti.

E tra le tante ricette che adottavano ce n’era una molto particolare ispirata alla grandiosa genialata del re di Itaca.
Dopo aver pulito il cinghiale, si incideva lungo la pancia prestando molta attenzione a non intaccare le interiora (altrimenti le carni si potevano rovinare contaminandosi con il contenuto delle interiora). Delicatamente si estraevano gli organi e poi, dopo aver fatto scolare bene tutto il sangue si procedeva ad imbottire l’animale con altri piccoli animali (cacciagione come lepri oppure volatili come anatre).

Fu così che a questo cinghiale imbottito e poi arrostito fu accostato troianus perchè ricordava il Cavallo di Troia, appunto, la macchina da guerra progettata da Ulisse per espugnare le mura della potente città.

Conosci APICIO?  Si tratta di un nome indissolubilmente legato all’archeo-gastronomia CLICCA QUI

L’OFFESA OGGI
Porcus troianus venne utilizzato per indicare la femmina pregna del maiale per poi trasformarsi col passare dei secoli in un’offesa rivolta specialmente alle prostitute.

Inoltre da notare che solo in epoca moderna esistono i contraccettivi e che in epoca antica le “passeggiatrici” (chi si prostituiva) erano quasi sempre incinte….da lì credo, fù un attimo ad attribuire ad una donna la bruttezza fisica e morale di una scrofa* e tanto altro…….PORCUS TROIANUS…..ovvero POXXA TXOXA.
Il termine TXOXA è usato sia da uomini che da donne ed anche usato per offendere un uomo offedendone la madre. L’uomo diventa quindi FIGLIO DI TXOXA.

*il termine scrofa sembra derivare dal latino “scrobis” cioè la fossa dove i maiali domestici venivano messi a razzolare tutto il giorno.

e pensare che tutto nacque 
su un semplice girarrosto!!!!!

La Celiachia: molto più di una semplice intolleranza

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In questa guida cercherò di spiegare in maniera semplice ma esaustiva in cosa consiste questa intolleranza che sembra diffondersi sempre di più.

Tutti noi (o quasi tutti) sappiamo che si parla di intolleranza alimentare quando il nostro organismo non riesce a sintetizzare alcuni alimenti. Questa difficoltà durante la digestione causa diversi sintomi, molto spesso anomali come gonfiore e mal di stomaco.

La celiachia è quindi intesa come un’intolleranza alimentare ma a differenza delle altre che possono anche svanire col passare del tempo e con lo sviluppo essa è permanente. La persona che soffre di celiachia prende il nome di celiaco.
A COSA E’ INTOLLERANTE UN CELIACO?

La celiachia è l’intolleranza al glutine, un complesso proteico presente in molti cereali (orzo, segale, spleta, kamut, farro, triticale..) e nel frumento.  Inoltre il glutine è contenuto anche in altri alimenti definiti “insospettabili”.

Ci sono alimenti in cui non ti aspetti di trovare glutine, definiti quindi insospettabili. CLICCA QUI e leggi l’articolo per scoprire gli alimenti più comuni che i celiaci non dovrebbero proprio mangiare.

COSA ACCADE QUANDO UN CELIACO MANGIA GLUTINE?

Quando un celiaco ingerisce un alimento che contiene glutine danneggia i villi intestinali (delle strutture simili a piccole setole che coprono buona parte dell’intestino e che si occupano dell’assorbimento dei nutrienti).

I sintomi che appaiono sono molto vari; si va dal semplice gonfiore addominale al dimagrimento, dai dolori ossei all’anemia, dall’irritabilità alla depressione, dalla costipazione alla diarrea.

OGGI LA CELIACHIA INTERESSA UNA PERSONA SU 100, l’1% della popolazione ITALIANA è celiaca

LA TERAPIA
Un celiaco dovrà convivere per sempre con la propria intolleranza e seguire un regime alimentare ben definito. Al bando logicamente il frumento; si dovranno consumare esclusivamente alimenti che naturalmente (ad esempio frutta e verdura fresche, carne, pesce, uova) o artificialmente sono privi di glutine. Quest’ultimi devono obbligatoriamente essere approvati dal Ministero della Salute riportando il simbolo della Spica barrata oppure il marchio ALIMENTO SENZA GLUTINE.
Solo in questo modo il consumatore sarà certo di acquistare prodotti rpivi di glutine (o che rispettino comunque il limite di 20ppm \ 20 milligrammi per chilo).

Esiste un prontuario creato dall’AiC che permette di visionare ggli alimenti idonei al consumo per una dieta priva di glutine.  E’ edita con frequenza annuale e può essere scaricata online CLICCANDO QUI.

tutti gli alimenti GLUTEN FREE in Italia vengono sottoposti al controllo dell’Associazione Italiana Celiaci.
CLICCA QUI per conoscerne di più sull’A.i.C.

COME FACCIO A SAPERE SE SONO CELIACO

Ovviamente devono presentarsi i sintomi descritti in precedenza.
E poi occorre eseguire dei test per capire se il malessere è davvero attribuibile alla celiachia. Molto spesso si tratta di altri tipi di intolleranze oppure malattie (ad esempio il colon irritabile presenta gli stessi sintomi).
Il mio consiglio è di consultare il medico di base, mai improvvisarsi dottori…MAI.
Consultare un medico permette di valutare se si soffre di intolleranza oppure di sensibilità al glutine e oltre a consigliarci dove eseguire il test, se necessario, può consigliarci una visita da un gastroenterologo.
ATTENZIONE==> il test per verificare l’intolleranza al glutine non è il test per le intolleranze alimentari.
Per diagnosticare la celiachia occorre effettuare una ricerca sierologica ed una biopsia della mucosa duodenale (con una duodenoscopia)
Inoltre è possibile anche eseguire accertamenti per la celiachia attraverso un test del sangue molto affidabile.

Restate comunque fedeli al vostro medico di base. Fate quello che vi dice di fare perchè tutto quello che leggete sul web, anche su questo blog, deve solo ed esclusivamente servire per conoscere meglio l’argomento.

DIFFIDATE SEMPRE da GUIDE ONLINE o GURU della medicina online.

In Italia quando si riceve la diagnosi definitiva i celiaci hanno diritto alla gratuità dei prodotti gluten – free (fino a un tetto massimo di spesa).

MANGIARE FUORI CASA
Fino a qualche anno fa la maggior parte delle attività ristorative era ignara o del tutto impreparata su quest’argomento. Oggi invece sembra tutto molto migliorato ed i nuovi sviluppo nel campo industriale abbinati con una maggior consapevolezza da parte dei ristoratori permette una vita più comoda per i celiaci. Usando il web puoi tranquillamente cercare un locale Gluten-Free ed anche qui a Napoli le pizzerie per celiaci sono sempre più diffuse.


COSA DEVE FARE UN RISTORANTE PER SOMMINISTRARE ALIMENTI SENZA GLUTINE
Non è obbligatorio per un ristoratore proporre alimenti senza glutine, tuttavia oggi sempre più aziende ristorative si adeguano in quanto i celiaci stanno coprendo una buona fetta di mercato.
Se sei un ristoratore che vuole cucinare\somministrare alimenti senza glutine devi seguire un iter ben preciso (che può subire variazioni a seconda della regione dove opera).
Innanzitutto occorre presentare agli uffici della propria ASL la notifica di inizio attività (o variazione in caso l’esercizio sia già operativo). Stranamente per ora, le aziende che operano in maniera occasionale e su commissione (i catering ad esempio) sono esonerate da questa comunicazione.
Inoltre il ristoratore deve garantire che alimenti “normali” ed alimenti senza glutine non entrino in contatto tra loro. Occorre evitare quindi le contaminazioni incrociate.

Mi riserbo di scrivere una guida dalla A alla Z per il ristoratore che vuole allargare o convertire la propria offerta gastronomica

All’interno del blog sotto la voce SPECIALI trovi la sezione SENZA GLUTINE. Costantemente propongo ricette semplici da seguire ma sempre originali.


Trovi glutine dove meno ti aspetti: cibi vietati ai celiaci

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Chi soffre di celiachia deve obbligatoriamente seguire una dieta senza glutine. Tutti i prodotti perfetti per celiaci sono approvati dal Ministero della Salute e riportano il simbolo della Spiga barrata oppure il marchio ALIMENTO SENZA GLUTINE.

Se vuoi approfondire l’argomento CELIACHIA puoi leggere un mio post cliccando QUI

Fin qui tutto sembra molto semplice ma ci sono molti alimenti insospettabili che contengono glutine; e questo rappresente un gigantesco problema per i celiaci che devono prestare sempre più attenzione per evitare problemi.


GLI INSOSPETTABILI CIBI CON GLUTINE

La maggiorparte delle persone crede che il glutine sia contenuto solo nei cereali a base di grano e nei prodotti che ne derivano ma non è così e senza la giusta informazione si può andare incontro a spiacevoli sorprese.

Ecco quindi una lista di alimenti da analizzare con estrema cura; una carrellata partendo dai più noti per  trovare quelli veramente insospettabili:

==> SALSA DI SOIA

Nella salsa di soia non c’è solo Soia ma spesso all’interno troviamo grano o orzo fermentato. Cerca ed usa sempre salse GLUTEN-FREE;
==> PATATINE IN BUSTA E CONGELATE DA FRIGGERE
Possiamo trovare glutine anche nelle patatine fritte (in busta oppure da cuocere). Il glutine non è contenuto naturalmente nelle patate ma può comunque trovarsi sempre per colpa del processo di produzione. Inoltre nel caso di questi alimenti, capita spesso che vengano fritti in olio promiscuo che potrebbe contenere glutine. Scegli sempre prodotti con il logo GLUTEN-FREE;

==> CONDIMENTI E SALSE
Anche questi alimenti possono contenere glutine. Per addensare i prodotti, le industrie utilizzano farine di frumento ed amido di mais: glassa di aceto balsamico, senape, Ketchup, sughi pronti, salse come il pesto…etc..
Un altro alimento simile alle salse pronte è il curry: anch’esso potrebbe contenere tracce di glutine;
==> BRODI GRANULARI E DADI
All’interno spesso troviamo la presenza di glutine a causa di contaminazioni accidentali durante la produzione industriale. Anche in questo caso bisogna sempre leggere l’etichetta;
==>ZUPPE PRONTE E PIATTI A BASE DI VERDURE
Eh, purtroppo anche nelle semplici verdure troviamo glutine. Questo capita se compriamo zuppe pronte perchè durante la lavorazione industriale avvengono delle contaminazioni con altri prodotti.
Lo stesso vale per piatti pronti, verdure surgelate, zuppe da riscaldare al microonde.
==> LATTICINI, LATTE e DERIVATI
I celiaci devono evitare latte non fresco, in polvere e condensato. Al bando anche creme, budini ed alcuni yogurt. Perfetto il formaggio a pasta filata ovvero mozzarella. Come vale per gli altri alimenti anche in questo caso bisogna studiarsi l’etichetta;

==> SUSHI
Tutti sappiamo che il sushi si fa con il riso ma non tutti sanno che uno degli ingredienti per la preparazione è l’aceto che non sempre è quello ottenuto dal riso. Per tagliare i costi alcune volte vengono usati tipi di aceto ottenuti da cereali. Inoltre molti sushi-man aggiungono salsa di soia al riso cotto a vapore per dare più sapore e come scritto in precedenza occorre evitare assolutamente la salsa di soia (usare solo quella con l’etichetta “senza glutine)

==> SALUMI

L’A.i.C. ha dichiarato che in seguito all’uso di additivi e conservanti durante la fase della salagione, tutti i salumi sono da considerare a rischio per i celiaci:
  • prosciutto cotto
  • bresaola, 
  • salame,
  • cotechino, 
  • lardo, 
  • coppa, 
  • pancetta, 
  • mortadella,
  • salsiccia, 
  • speck, 
  • zampone, 
  • affettati di pollo 
  • würstel, 
  • affettati di tacchino 

L’unico salume senza presenza di glutine è il prosciutto crudo.

==> FRUTTA CANDITA ED AFFINI
Tutta la frutta fresca non contiene glutine tranne se lavorata come la frutta caramellata e quella candita. I fichi secchi proibitissimi (la maggiorparte viene infarinata)! Stesso discorso vale per frutta secca (mandorle, castagne, nocciole…) se in formato granella. Anche in questo caso occorre scegliere con bollino gluten-free;

==> GOMMA DA MASTICARE
In commercio alcune marche tendono ad utilizzare polveri a base di glutine per impedire alla gomma di aderire all’involucro. Occorre fare ricerche online e capire quale marca è gluten-free (molti formati di vivident e vigorsol sono inserite nel prontuario)

==> CIOCCOLATO ED AFFINI
Tutti i prodotti dolciari industriali possono contenere glutine: cacao in polvere, torroni e marron glacé, marmellate e confetture, decorazioni per dolci.
Anche le tavolette di cioccolato potrebbero contenere tracce di farina di frumento (usata come adddensante). Attenzione pure a numerosi gelati e ghiaccioli che sembrano non contenere farine ed invece….

==> BEVANDE

Alcuni alcolici sono realizzati partendo da cereali e quindi vanno consumati con estrema cautela. Inoltre in molti casi vengono aggiunta additivi che possono “contaminare” la bevanda (aromi, conservanti..).
Tuttavia a seguito di recenti studi Whisky, Vodka e Gin sembrano adatti per chi soffre di celiachia in quanto la lavorazione ed il processo di distillazione eliminano ogni traccia di glutine.
Esistono in commercio tanti liquori e distillati adatti per celiaci come i liquori presenti nel Prontuario degli alimenti A.i.C.
Altre bevande: occorre prestare attenzione alle tisane, ai caffè solubili, ai té in cialde…..sempre per il discorso degli aromi.
Per quanto riguarda la birra da qualche anno sono in commercio dei prodotti favolosi che sembrano davvero appagare i celiaci che non vogliono rinunciare alla birra.

COSA FARE PER NON RINUNCIARE?
Per ogni categoria ed alimento citato in questo post esistono in commercio delle varianti SENZA GLUTINE (porteranno sulla confenzione sempre un simbolo) di tutti questi alimenti.
Come sempre invito a visualizzare tutti gli alimenti GLUTEN FREE prodotti\distribuiti in Italia riportati nel Prontuario degli Alimenti A.i.C. (Associazione Italiana Celiaci).

CLICCA QUI per visualizzare e scaricare il prontuario A.i.C.

Come scrivere la tesina: GUIDA PRATICA

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Sempre più ragazzi mi chiedono consigli sulle tesine per l’esame di Stato:

prof, cosa posso portare?
prof, faccio anche un powerpoint?
prof, posso prendere un argomento dal suo blog?

Cerchi un argomento per la tua tesina e sei uno studente di un istituto professionale enogastronomico? Forse questi argomenti sono scritti apposta per te CLICCA QUI

Tra le tante domande che mi vengono fatte nella realtà e sul mondo virtuale tramite social ed email ce n’é una che mi ha fatto riflettere e mi ha motivato per scrivere quest’articolo:
prof, ma come si scrive una tesina?
prof, ci sono delle regole precise?
prof, devo fare l’indice e la sitografia?

Ebbene, se anche tu caro lettore ti poni queste domande allora significa che hai trovato il sito giusto per te….in questa guida passo passo condividerò con te tutto quello che so, farò degli esempi e ti permetterò di scaricare materiale interessante.

Tu però mi raccomando…convidivi quest’articolo sui tuoi social.

QUEST’ANNO HO L’ESAME: come devo iniziare?

Creare qualcosa non è affatto semplice, per nessuno. Anche quest’articolo che stai leggendo è frutto di un attento studio, di una ricerca di notizie e di una rielaborazione ponderata. Non ho certo scritto quest’articolo in una sera.
Innanzitutto per iniziare a lavorare ad una tesina occorre un argomento ben definito (importantissimo come vedrai più avanti).
COME SCEGLIERE L’ARGOMENTO PRINCIPALE?
Devi sceglierlo in base a diversi fattori:
  • deve essere inerente al tuo percorso di studi;
  • deve essere originale;
  • deve essere un argomento che conosci bene ed alla tua portata;
  • dekve permetterti il collegamente con le discipline che affronterai in esame.
Il mio consiglio? Più l’argomento centrale è semplice, migliore sarà la tua perfomance al colloquio orale. Tieni in considerazione che i commissari sono insegnanti che quasi certamente lavorano da anni e da anni sono abituati a condurre un colloquio in un esame. Tutto questo per dirti che devi puntare alle tue passioni: analizzare te stesso ed il tuo percorso scolastico e trovare la chiave giusta per trasmettere in quei pochi minuti tutto quello che per te è importante.
Devi restare fedele a te stesso, semplicità ma mai banalità: al bando argomenti come la seconda guerra mondiale..blabla..la politica attuale..blabla..i diritti delle donne..blabla.
Ci vuole ORIGINALITA’!
E non dimenticare che gli argomenti vanno collegati tra loro da un “filo” bello resistente. Prepara una mappa concettuale oppure una TIMELINE (su google puoi trovare tutto il necessario per crearla, anche sul mio blog se sai cercare). Dall’argomento principale devi riuscire a toccare le diverse discipline definendo i loro contenuti in maniera diretta e chiara senza forzare troppo. Se il collegamento non è convincente non va fatto, cambia l’argomento.
Oppure non affrontare la disciplina che coinvolge l’argomento (motivando quindi che non sei riuscito a trovare un collegamento valido).

LE DIMENSIONE CONTANO: quanto deve essere lunga una tesina?

Non esiste una dimensione precisa. Logicamente argomentare una tesi in forma scritta vuol dire affrontare un argomento in modo soddisfacente e bene e per farlo servono almeno dalle 2 alle 3 pagine. Per non andare incontro ad una redazione dall’aspetto scarno e misero ti consiglio di tenerti max sulle 20\25 pagine. TROPPE PAGINE NO. Stai affrontando un Esame di Stato, non l’esame finale all’Università.

LA STRUTTURA DELLA TESINA: lo scheletro
La tesina è un vero e proprio documento e come ogi documento si rispetti va opportunamente strutturato. Non è e non deve essere per nulla facile riuscire ad elaborare una tesina perchè sia sotto il il profilo formale che contenutistico deve obbbligatoriamente richiedere un forte impegno da parte dello studente. L’IMPEGNO VERRA’ SEMPRE PREMIATO!
Quindi al bando le scopiazzature dal web….se non sei in grado farai solamente una gran brutta figura. Non essere frettoloso e non produrre una tesina “arronzata” (che in napoletano significa “per nulla rifinita”).
Una tesina si chiama così in quanto si tratta di un percorso che sostiene una tesi (alle volte per confutarne altre). 

Chi scrive deve avere le idee chiare, individuare un argomento (tema) ben definito e riuscire a rendere accattivante sia la documentazione che le argomentazioni favorevoli (e contrarie).

La tesina deve sempre prevedere:
  • la copertina = la parte frontale del tuo elaborato;
  • un’introduzione = cosa ti ha spinto a scegliere questi argomenti;
  • corpo centrale = il contenuto diviso pre discipline;
  • conclusione = il risultato della tua attenta analisi;
  • bibliografia\sitografia = si tratta di un elenco  in cui citerai le tue fonti;

LA TESINA DEVE AVERE UN FILO CONDUTTORE


Collegare tra loro le varie discipline non è semplice ma con il giusto impegno e documentandosi attentamente è possibile riuscire a realizzare collegamenti solidi e non banali.

IMPAGINAZIONE: le scelte giuste
Per redigere una tesina avrai bisogno di un programma office: all’interno del tuo PC quasi certamente hai installato Microsoft Office.

Il programma che dovrai usare si chiama WORD e si tratta di un programma di video-scrittura che ci permette di creare documenti. Si tratta tuttavia di un programma a pagamento; in rete esistono ottime soluzioni alternative come OPEN OFFICE (cerca su google e scarica la versione più aggiornata).

L’interfaccia dei programmi di video-scrittura è molto intuitiva ma ovviamente se sei alle prime armi (cosa molto grave per chi si sta per diplomare….sappilo!) ti consiglio di chiedere ad un parente o ad un amico più capace. Puoi preparare il documento con tutti i contenuti e farlo “aggiustare” a chi ritieni più capace

La dimensione del foglio A4 è il formato standard da scegliere, quello classico insomma. Tuttavia puoi scegliere il formato che preferisci ma potresti andare incontro alla realizzazione di un cattivo prodotto.
Dopo le dimensioni della pagine occorre prestare attenzione ai margini (lo spazio tra il bordo pagina ed il testo). Solitamente i programmi di video-scrittura impostano in automatico 2 cm in basso, a sinistra ed a destra e 2,5 cm in alto. Potresti anche aumentare leggermente i margini per permettere agli insegnanti di annotare qualcosa.
Bisogna poi scegliere il carattere (il font) ovvero l’aspetto del testo. Credimi, ho corretto tesine dai contenuti dfantastici ma con dei font sbagliatissimi che hanno rovinato la mia esperienza di lettura.

 

Potresti variare il font dei titoli o nei nomi delle discipline utilizzando font simili alla scrittura a mano come l’Algerian. Per quanto concerne le dimensioni tieniti tra 12 e 14: esagerare con un font troppo grande è controporducente e rendere il testo troppo piccolo rende difficile la lettura.
Ricorda sempre che le pagine non devono contenere troppo testo, devi cercare di alleggerire il tutto utilizzando immagini e grafici: tutto deve portare ad una lettura piacevole.
Il risultato finale dovrà trasmettere ordine tra testo e spazi vuoti.

L’INTRODUZIONE: cosa devo scrivere?
L’introduzione deve essere breve ma non troppo. Occorre capacità di sintesi ed organizzazione in quanto in questa parte iniziale dovrai raccontare il “dietro le quinte” del tuo documento:

  • la spiegazione (brevemente) dell’argomento dietro al titolo della tua tesina;
  • devi stuzzicare la curiosità di chi sta sfogliando la tua tesina e motivarlo a continuare a leggere;
  • permetti ai commissari di identificare il motivo e perchè per te è tanto importante;
  • parla anche del tuo metodo di studio e di ricerca delle fonti.

LA BIBLIOGRAFIA E LA SITOGRAFIA: citare sempre le fonti
Come letto prima, la tesina è un prodotto multidisciplinare nato dalla ricerca. Ricerca che prevede sempre l’esame e la scelta di fonti (sei tu a decidere quali siano migliori, ricordalo sempre).
Questo lavoro di analisi quindi permette di sviluppare tesi ed antitesi ed è sempre consigliato citare le tue fonti. E per farlo alla fine della tesina, nelle ultime pagine, va costruita una bibliografia ed una sitografia (la prima se si tratta di opere cartacee come articoli di giornale e libri, la seconda se si tratta di materiale sul web). Fare un lavoro del genere impreziosisce il tuo elaborato e rende tutto molto professionale; capita sempre che i commissari si incuriosiscano su un argomento in particolare. Ebbene, creare una bibliografia permette al commissario di poter appuntarsi “l’indirizzo” della tua fonte e di poter anche valutare la tua capacità di elaborazione. Ricorda che lo stesso vale anche per le immagini che hai utilizzato (a meno che non siano tue foto personali).
Devi quindi creare un elenco, ordinando le fonti dalla più vecchia alla più recente.

L’ordine che devi rispettare è il seguente:

  • cognome dell’autore seguito dal nome;
  • titolo e sottotitolo del libro in corsivo;
  • luogo di pubblicazione;
  • Casa Editrice;
  • data di pubblicazione;

Ecco un esempio:

  • E. Ermenegildo, L’arte di prendere 100 alla Matura, Milano, Telosogni editore, 2013
  • M. Filisnacchio, Far piangere di gioia i commissari, Roma, MagariEdizioni, 2016
  • G. A. Ruggi, Come creare una Tesina, Napoli, Scuola editore, 2018

Per la sitografia vale lo stesso discorso: un ordine temporale che prevede però oltre al nome del sito anche il link alla pagina.

LA TESINA E’ OBBLIGATORIA: ma anche no!

Presentare una tesina all’Esame di Stato non è obbligatorio. Non è scritto in nessuna normativa e non influisce negativamente nel giudizio dei commissari. Ovviamente la consuetudine vuole che i commissari (interni ed esterni) conoscano in anticipo gli argomenti che verranno affrontati durante il colloquio orale. Capita che durante l’insediamento (la prima riunione) e durante le due prove scritte i commissari visionino gli elaborati. Questo ti fa capire una cosa precisa: bisogna prestare attenzione alla forma. L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE.

L’ALTERNATIVA ALLA TESINA: più di una

Se non vuoi affrontare un argomento preciso e non vuoi farti strada intricati collegamente interdisciplinari puoi anche scegliere di affrontare il percorso orale. 
Ti consiglio però di supportarti almeno con mappe concettuali (o mentali). Inoltre potresti pensare di produrre materiale multimediale come un breve video oppure un grafico interattivo.


Se la tua idea è realizzare una presentazione in POWERPOINT mi raccomando, stammi a sentire: non creare un’accozzaglia di slides con il riassunto di quello che vuoi esporre. NON SERVE A NULLA E LA COMMISSIONE PERDERA’ INTERESSE


Una presentazione dovrà prevedere grafici, animazioni, video e soprattutto immagini da commentare. Regola aurea: UNA PRESENTAZIONE SI GUARDA, NON SI LEGGE
Inoltre puoi ricorrere all’ascolto di brani (brevi e concisi, mi raccomando).


La differenza tra una mappa mentale ed una mappa concettuale? La spiego qui! CLICCA

DARE UN TITOLO ALLA TUA OPERA: diamo un bel nome
Molti identificano nell’argomento centrale il titolo alla tesina.
Altri mettono al primo posto questa fase ma io sono ritengo invece che il titolo sia qualcosa di fondamentale e deve essere scelto dopo aver letto attentamente il proprio elaborato. Non è mai errato dare come titolo il nome dell’argomento centrale.
La regola semplice è: cercare un titolo giusto che possa attirare l’attenzione.
Chiedi anche un consiglio esterno, fa vedere la tua tesina ad un insegnante, ad un amico oppure a tuo fratello.

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Gualtiero Marchesi: il maestro degli chef stellati

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Il 26 Dicembre 2017 per me è stato un giorno infelice. Ad 87 anni quel giorno si è spento un EROE nazionale.
Perchè Gualtiero Marchesi è il papà di tutti i cuochi italiani. E’ e sempre lo sarà.
Un padre buono che amava la cucina italiana e rivoluzionario perchè amava la buona e vera cucina italiana.

Ho incontrato Gualtiero Marchesi una sola volta nella vita, ad un concorso culinario. Chi mi conosce sa che non sono solito fare foto con i miei idoli perchè mi imbarazza chiedere foto.
Ma oggi mi pento di non aver immortalato quel momento che resta tuttavia vivido nella mia mente.
Una persona dallo straordinario carisma, sostenitore della bellezza attraverso il gusto. Sue due straordinarie teorie: quella della CUCINA DI TESTA e della CUCINA DI GOLA (per quest’argomento scriverò un post in futuro).

Come sempre, anche in questo caso, scrivo quest’articolo per i miei alunni e per i miei lettori che hanno finito da un pezzo scuola.
Perchè? Perchè ritengo che chiunque operi nella ristorazione (dal semplice commis al F&B manager) deve conoscere CHI è stato lo CHEF Gualtiero Marchesi.
Inizierò a raccontarne la vita attraverso un percorso biografico per poi elencare alcuni tra i riconoscimenti più prestigiosi che ha ricevuto. Infine cercherò di tirare le somme su cosa realmente ci lascia il GRANDE MAESTRO.

LA BIOGRAFIA

Scrivere la storia del grande Marchesi in un post non è cosa facile. Sul web trovi la sua biografia completa (alcune scritte davvero bene come quelle che trovi sui siti istituzionali come il sito personale dello Chef).
Cercherò tuttavia di riassumere i momenti più importanti che hanno visto protagonista il Maestro.
Gualtiero Marchesi nasce nel 1930 a Milano. 
Fin da piccolo è immerso completamente nella cucina dei suoi genitori, gestori del ristorante dell’albergo MERCATO.
Da adolescente frequenta l’istituto allberghiero di Lucerna ed inizia la sua al KULM di St. Moritz.
Quando torna nel ristorante dei suoi cerca sempre di proporre i piatti che impara a St. Moritz contaminando la cucina classica con una cucina di tendenza.
Decide poi di tornare all’estero, precisamente in Francia. Significative per lui saranno le esperienze nel ristorante LEDOYEN (Parigi), LE CHAPEAU ROUGE (Digione), TROISGROS (Roanne).
Dopo più di un decennio passato in Francia, Gualtiero Marchesi nel 1977 apre il suo primo ristorante a MILANO. Immediatamente riceve una stella Michelin e nel 1978 conquista due stelle Michelin.
Nel 1980 è tra i primi quindici ristoranti preferiti da GAULT e MILLAU.
La carriera dello Chef decolla negli anni ’80 e nel 1985 il ristorante riceve tre stelle Michelin.
Negli anni ’90 apre altri locali a Milano in luoghi esclusivi  (come il caffè aperto sul tetto del Duomo).
Poi qualche anno dopo decide di andare nelle campagne della Franciacorta e crea il RELAIS CHATEAUX L’ALBERETA.
Nella sua vita ha aperto e fondato tantissimi ristoranti in Italia, all’estero ed anche sulle navi da crociera.
I RICONOSCIMENTI
Ecco un elenco in ordine temporale, dei premi e riconoscimenti più prestigiosi che il Maestro ha ricevuto. La maggior parte non erano mai stati attribuiti prima ad uno CHEF.
  • CAVALIERE DELLA REPUBBLICA (1986);
  • PERSONNALITE’ DE L’ANNEE’ per la Gastornomia (1989);
  • CHEVALIER DANS L’ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES (1990); 
  • COMMENDATORE in Italia (1991);
  • il PREMO ARTUSI (1998);
  • il sigillo LONGOBARDO D’ORO (1999);
  • la LAUREA honoris causa in SCIENZE DELL’ALIMENTAZIONE presso l’Universitas Sancti Cyrilli di Roma (2001);
  • riceve il premio MEMOIRE ET GRATITUDE dall’Accademia Internazionale della Gastronomia (2002);
  • riceve a Los Angeles il premo alla Carriera (2005);
  • premio PAUL HARRIS del Rotary Club (nel 2000 e nel 2007);
  • riceve il LIFETIME ACHIEVEMENT (2008);
  • il GREMBIULE D’ORO a Madrid (2009);
  • viene nominato PRESIDENTE ONORARIO DELLA COMMISSIONE INTERMINISTERIALE PER LA PROMOZIONE DEL TURISMO ENOGASTORNOMICO (2009);
  • MEDAGLIA D’ORO in Italia (2011)
  • LAUREA honoris causa in SCIENZE GASTRONOMICHE DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (2012);
  • il sindaco di Milano in occasione del compleanno dello chef consegna IL SIGILLO DELLA CITTA’. La motivazione: “per il suo ruolo di artefice e fondatore della nuova cucina italiana e per il suo straordinario impegno creativo a favore della migliore tradizione gastronomica milanese e lombarda. Per una vita spesa con generosità nella trasmissione dei migliori valori di qualità e innovazione a più generazioni di chef italiani ….” (2015);
  • riceve a New York il GEI AWARD (2015);
  • PREMIO AMERICA DELLA FONDAZIONEITALIA USA (2017);

L’EREDITA’ DI MARCHESI
Lo chef Gualtiero Marchesi ha lasciato a tutti noi un’inestimabile eredità.
Un’eredità tangibilissima, che possiano trovare nell’enogastronomia mondiale e nei tanti ristoranti aperti da lui che ancora oggi risultano tra i migliori al mondo e che danno lavoro a tanti giovani capaci che amano la vera arte culinaria. Oltre ad aprirli li ha anche restaurati come accaduto per il ristorante più antico di Roma, l’Hostaria dell’Orso.
Ci sono poi i progetti realizzati in collaborazione con tantissime aziende food (e non solo) ed i tanti prodotti alimentari studiati attentamente assieme ad i suoi collaboratori.
Il Marchesi era un grande lavoratore ma ancor di più un grande sognatore. Ha innovato la gastronomia ad altissimi livelli e personalizzato tutte le materie prime da lui utilizzate: addirittura il caffè venne personalizzato. Ernesto Illy lo definì “chimico dell’intuizione“.
Nella sua vita ha sempre difeso e diffuso il proprio sapere.
Ha fondato inoltre assieme ad altri prestigiosi professionisti l’Euro-Toques International, la Comunità Europea dei cuochi (nel 2000 viene eletto presidente e nel 2003 presidente ad onore).
I cuochi sono i chimici dell’intuizione.
Ha inaugurato nel 2003 l’importantisisma scuola di formazione ALMA, Scuolannuncia Internazionale di Cucina Italiana con sede presso il Palazzo Ducale di Colorno (Parma). Ha collaborato e supervisionato l’apertura dell’Italian Culinary Academy a New York.
Nel 2010 nasce la fondazione MARCHESI defnita “Nido d’arte per i bambini e scuola creativa per i cuochi”.
Tra gli ultimi progetti, nel luglio 2017, Marchesi annunciò l’apertura a Varese della “Casa di riposo per cuochi” (verrà ultimata a breve).

Conosci il grande maestro di cucina Paul  Bocuse? Assieme a Gualtiero Marchesi resta e resterrà sempre un maestro indiscusso della gastronomia mondiale. CLICCA QUI per leggere la sua storia.

I PIATTI PIU’ EMBLEMATICI DEL MAESTRO
Lo chef Marchesi era prima un artista che amava “giocare” con il cibo.
Nei suoi giochi riuscì a creare piatti capolavoro della gstronomia che ancora oggi sono le colonne portanti dello stile di cucina italiana esportato in tutto il mondo.
Ecco quali per me restano ancora oggi le opere più  importanti e diffuse del maestro;

  • il riavolo aperto;
  • il dripping di pesce;
  • gli spaghetti freddi con caviale ed erba cipollina;
  • la seppia in nero;
  • il risotto alle barbabietole;
  • il risotto oro e zafferano;
  • la piramide di riso;
  • la spirale di risotto con salsa al nero di seppia;

Ti invito a comprare quanto prima un libro sullo chef Marchesi. Se possono consigliartene uno, “Opere-Works” di Gualtiero Marchesi, curato da Dal Falco ed edito da Cinquesensi. Tutte le foto sono magnifiche.

MARCHESI ED IL CASO DELLE STELLE
Nel 2008 lo chef Gualtiero Marchesi volle tenere una conferenza stampa dove comunicò a tutto il mondo una scioccante decisione: NON ESSERE PIU’ OGGETTO DI GIUDIZIO DELLA GUIDA MICHELIN.
La motivazione?
I miei piatti sono come una composizione, bisogna capire cosa c’è dietro, la loro storia, ho un passato da difendere e i giudizi invece vengono troppo spesso basati sui gusti personali e poco sulla capacità di cogliere tutte le sfumature“.
In quell’occasione il direttore per la comunicazione della guida Michelin rifiutò di presenziare e più tardi disse ai giornalisti che: “Marchesi dovrebbe ricordare che è anche grazie a noi se è diventato quello chef famoso che è“.
Ma Marchesi non replicò a quella enorme caxxata (pensier mio) ma semplicemente risposte:”Alla mia età posso fare quello che voglio“.
Conosci la guida Michelin e la sua storia? Vuoi sapere come vengono assegnate le stelle? CLICCA QUI
MARCHESI: THE GREAT ITALIAN
Qualche tempo fa nelle sale cinematografiche di tutt’Italia fu proiettato un film-documentario sulla vita del grande chef.

Un percorso biografico davvero ben realizzato con interviste ad i protagonisti dell’enogastornmia modenra ed anche video che ritraggono Gualtiero Marchesi in scena di vita quiotidina ed a lavoro.
Un grande omaggio che consiglio vivamente di vedere.

COME SI ARRIVA AL LIVELLO DI GUALTIERO MARCHESI?

Non si può. E’ unico, inimitabile. Si può solo prendere come riferimento ma di chef eccelsi così ne nasce uno ogni 1000 anni. Espressione della vera passione dell’arte culinaria, dell’enorme senso di spirito di sacrificio, con l’atteggiamento tipico di un padre di famiglia che condivide con i propri figli l’esperienza, le abilità e le conoscenze assimilate e conquistate in anni di carriera.

Antonino Cannavacciuolo diventa un papero

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Sono un affezionato lettore di Topolino, quando posso corro in edicola a comprarlo.
Questa settimana ho avuto una piacevole sorpresa: lo chef Paperacciuolo in copertina.
Che bello! Ho riassaporato ancora una volta l’emozione fanciullesca della meraviglia (in verità, mi stupisco ogni volta che sfoglio un Topolino).
Questo fumetto riaccende in me tanti cari ricordi: come quello di mia nonna che mi accompagnava in edicola e mi comprava “i pacchi” di Topolino. Eh, si…perchè quando ero bimbo nell’edicola dove andavo potevi trovare “un pacco artigianale” con Topolino usati ad prezzo molto basso. 
Mia nonna non era certo una riccona, lavorava come addetta alle pulizie ed era in affitto. Eppure con tutti i pensieri che aveva in testa ogni settimana mi portava in edicola.
E così sono cresciuto……
Ancora oggi leggo questo bellissimo fumetto con storie e disegni tutti italiani.
la copertina

In questo numero lo chef ANTONINO CANNAVACCIUOLO, diventato celebre in Tv per “Cucine da Incubo” ed altri programmi, veste i panni…o per meglio dire…indossa la giacca dello chef Paperacciuolo.

Ed affianca Ciccio – che tenero e pasticcione che è Ciccio eh? – ed insieme sono protagonisti di una bellissima avventura tra prodotti alimentari contraffatti e la gestione di un ristorante.

NON FACCIO SPOILER ma la storia è carinissima.
E poi all’interno trovi la ricetta della TORTA DI NONNA PAPERA.
Se sei ancora in tempo, corri in edicola. 
Leggi e fai leggere il bellissimo Topolino.

Ti ricordo che all’interno del mio blog puoi trovare la sezione LE FANTARICETTE con tante ricette ed approfondimenti  di pietanze e bevande viste in serie TV, cartoni animati e lungometraggi animati.
CLICCA QUI

La dieta del guerriero dell’antichità – Mappa concettuale

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Ecco la mappa concettuale dell’argomento: LA DIETA DEL GUERRIERO DELL’ANTICHITA’.

Con questa mappa si evidenzia come i soldati di epoca antica seguissero regole precise ed erano fermamente convinti che la chiave del successo si trovasse anche in un corretto stile alimentare.

Per scaricarla, cliccare con il tasto destro e SALVA CON NOME

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