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La Sambuca è ischitana: ecco la vera storia

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I miei affezionati lettori sanno bene che quest’anno il mio lavoro da eterno precario mi ha “fatto sbarcare” ad Ischia, isola affascinante a pochi passi da casa mia (Castellammare di Stabia).
Qualche tempo fa, parlando con il barista dove abitualmente faccio colazione (e fa davvero un bel caffè) ragionammo sui prodotti tipici dell’isola.
Quando ad un tratto esclamò: “Professò, anche la Sambuca è ischitana!
Ed io: “ma che dici….la Sambuca è stata creata da Angelo Molinari!“.
La sua replica: “ahahahah, professò! Mi sa che devi tornare a studiare…
Ebbene, così è stato. Mi sono documentato in questi giorni ed ecco il risultato della mia ricerca! ( ed il barista aveva ragione!!!Bravo Gianluca!!)
LA SAMBUCA E’ ISCHITANA
La sambuca (come la conosciamo oggi) venne inventata da un ischitano, LUIGI MANZI (classe 1809).

Ho volutamente scritto “così come la conosciamo oggi“ perchè, come potrai leggere, le radici di questo liquore sono molto profonde. Come è avvenuto anche per altri famosi liquori anche in questo caso la ricetta è molto più antica rispetto all’anno di commercializzazione. Si crede venisse preparata per uso medico per le potenti proprietà  curative attribuite al fiore di Sambuco. Ovviamente dosi e sapore dovevano essere molto diversi.

L’inventore (fortemente garibaldino) costruì l’azienda di produzione a Civitavecchia perchè in quel tempo Napoli era ancora sotto monarchia.
La prima produzione di questo liquore dolce è datata nel 1851.

La bevanda è ottenuta distillando fiori di sambuco aromatizzati con anice verde e finocchio.

Il suo gusto molto gradevole e le proprietà digestive sono da sempre le qualità più apprezzate di questo liquore.
==> Piccola curiosità: Luigi Manzi era un gran sostenitore della restaurazione e sovvenzionò sia Giuseppe Garibaldi che Mazzini ed ancora oggi qui ad Ischia è un personaggio che tutti ricordano.
Il condottiero dei Mille visitava molto spesso l’isola di Ischia per andare a trovare l’amico (e soprattutto per bere l’ottimo liquore). Dopo qualche anno, Luigi Manzi tornò a casa, nella sua Casamicciola, e realizzò numerose opere pubbliche come la prima centrale elettrica ed una compagnia di trasporto Casamicciola-Napoli-Torregaveta.

Ancora oggi ad Ischia troviamo le TERME MANZI, costruite dal padre dell’inventore. Luigi Manzi investì tempo e denaro per ingrandire la struttura e renderla moderna. Più tardi nel 1960 le terme vennero acquistate da Angelo Rizzoli.

L’ORIGINE DEL NOME
Ancora oggi l’origine del nome non è certa.
Ovviamente molti associano il nome alla materia prima utilizzata (fiori di sambuco).
Ma sembrerebbe che il nome “sambuca” derivi dal nome attribuito ai giovani acquaioli che portavano acqua fresca ai contadini ischitani, i “sambuchelli“.
Altri invece sostengono che derivi dal modo con cui si contrabbandava questo liquore, nascondendolo in delle buche nel pavimento: “San buco“……alquanto forzato….secondo me è molto più valida la prima ipotesi.

LA SAMBUCA MOLINARI
Angelo Molinari (classe 1893) era un produttore di profumi e liquori e per un periodo visse in Etiopa (durante l’epoca del colonialismo italiano tanto voluto da Benito Mussolini). 
Fu proprio qui che iniziò a prendere confidenza con le spezie e trovò nell’anice stellato un formidabile ingrediente da utilizzare nei suoi prodotti. Nel 1936 si trasferì a Civitavecchia ed iniziò a lavorare per l’azienda MANZI. Qualche anno dopo decise si mettersi in proprio e di produrre la SUA versione di Sambuca con una ricetta di sua ideazione (e con anice stellato).

L’attività di Molinari iniziò quasi un secolo dopo l’invenzione ischitana.

Ancora oggi l’azienda MOLINARI produce quest’ottimo liquore con il nome SAMBUCA EXTRA MOLINARI.
IL SEGRETO DEL SUCCESSO MOLINARI
il successo della diffusione della Sambuca Molinari si deve principalmente alla qualità del prodotto ed alla scelta di esportarlo all’estero. (dall’anno 1945).
Angelo Molinari riuscì a creare una solida rete di esportazione e fece conoscere il proprio prodotto in tanti paesi stranieri. Forte di questo fattore e grazie ad un periodo storico molto favorevole a Roma ( gli anni ’50 e la “dolce vita”) riuscì a rendere la sua Sambuca un prodotto  italiano tra i più venduti.
Perchè (quasi tutti) non conosciamo la Sambuca Manzi?
Perchè Luigi Manzi non riuscì ad esportare in paesi stranieri il proprio prodotto e perchè purtroppo visse in un’epoca di grandi mutamenti e conflitti (armati, sociali e politici) a differenza del periodo di forte libertà commerciale (e non solo) del collega A. Molinari.

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Ti ricordo che su RISTORAZIONE CON RUGGI puoi trovare news e tanti approfondimenti sul mondo dell’enogastronomia.


Si scrive Gattò o Gateau di patate?

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Girando per i vicoli di Napoli mi capita molto frequentemente di leggere sulle lavagne: 
QUI GATEAU DI PATATE
E quando posso cerco di far notare che è sbagliato questo modo di scrivere.
L’errore lo ritrovo puntualmente in molti menu (alcuni scritti con l’accento sulla ù…ma questa è un’altra storia).
In questo post chiarirò perchè la forma corretta è GATTO’ DI PATATE.

GATTO’ o GATEAU?
Se aprissimo il dizionario quasi certamente troveremmo riportato
 GATTO’ = tortino cotto al forno a base di patate….

Il termine deriva dal francese “gateau” e l’origine si fa risalire al 1775.
Inizialmente la parola francese era associata a “torta” o meglio ancora “focaccia“.

==> Curiosità: a Napoli e dintorni ancora oggi in molte case, le signore quando preparano una torta dolce simil pan di spagna dicono: “Aggio fatt nà pizz!“. Ancora adesso i termini torta-focaccia-pizza sembrano essere sinonimi.

Per molti il termine esatto è GATTO’. Esiste anche una variante con una  sola T ovvero GATO’.  Entrambe le forme vengono accettate .
LA STORIA DEL GATTO’
Anche in questo caso come avvenuto per la maggior parte delle antiche ricette napoletane, anche la celebre preparazione culinaria a base di patate fu trascritta da Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino ed esperto cuoco e (tra)scrittore di manuali di cucina e ricette antiche.

Non conosci Ippolito Cavalcanti? Dopo aver finito di leggere l’articolo ti invito ad approfondire la vita e l’opera del Duca di Buonvicino leggendo QUESTO mio articolo

E su questi testi troviamo la parola “GATTO‘” e non “Gateau“.

I FRANCESISMI IN CUCINA PER NOI NAPOLETANI
Ma perchè a Napoli si usavano molti francesismi in cucina?
Nella cultura napoletana troviamo moltissimi francesismi ormai del tutto assimilati e storpiati: buatta da boite, allummare da alumer,  buccolo da boucle, sciuè sciuè da èchouè, dammaggio da damage….e così via…
Non dimentichiamo che i francesei (tra Angioini e periodo Napoleonico) sono stati a Napoli per circa 200 anni.
Per quando concerne la cucina, i Borboni amavano la Francia (da sempre ritenuta custode di segreti culinari e punto di riferimento per moda e raffinatezza).
Alla corte dei Boboni (e non solo) c’erano cuochi francesi chiamati “i Monsieurs“.

I napoletani come accaduto per la parola gattò, trasformarono anche la parola monsieurs che divenne MONZU’.

Vuoi approfondire la storia legata ad i MONZU’? Chi erano i cuochi alla corte delle monarchie del Sud Italia? CLICCA QUI


COSA INTENDIAMO QUINDI CON LA PAROLA GATTO’
Quando usiamo questa parola ci riferiremo sempre e solo alla “torta di patate“: un impasto di patate schiacciate che racchiude uova fresche, latte, salame napoletano ed altri salumi, provola fresca, formaggi stagionati…..

mmmmmmmm…che fame eh?





CERCA SUL BLOG, troverai tante ricette napoletane e non solo!

Effetto Madeleine e memoria olfattiva: il naso come strumento di memorizzazione

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Dico sempre ai miei ragazzi a scuola che devono utilizzare i loro smartphone in modo più smart, più efficace. E li invito sempre a leggere un buon libro.
Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. 
Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, 
quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito
…perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Umberto Eco 
E tra le tante letture interessanti per un operatore dei servizi della ristorazione consiglio sempre “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. Ovviamente sarebbe fantastico riuscire a fargli leggere l’intera opera ma a me basta il primo volume ovvero “Dalla parte di Swann
Quando consiglio di leggere la magnifica opera proustiana faccio sempre presente ad i miei ragazzi che si tratta del romanzo più lungo al mondo mai scritto finora…..non puoi immaginare le loro facce!!! AHAHAHAHA
Ti chiederai come mai un insegnante di Cucina spinga i propri alunni ad una lettura tanto impegnativa quanto ambiziosa?
Ebbene, credo fortemente che gli allievi di un istituto enogastronomico debbano essere maggiormente educati alla consapevolezza dei meccanismi della vita e del funzionamento dei sensi. Specialmente oggi che esistono tantissime materie prime e molteplici tecniche di lavorazione.
Con quest’opera in particolare uno studente può davvero comprendere l’universo infinito che lega la nostra mente ai sensi, nello specifico il senso dell’olfatto.

Riuscire ad intuire le infinite informazioni che il cervello riceve dai recettori olfattivi permette di costruire fondamenta solide che permetteranno ai ragazzi di comprendere argomenti più complessi come l’analisi sensoriale, ad esempio.
L’EFFETTO MADELEINE
Ad ognuno sarà capitato almeno una volta di (ri)vivere un’esperienza passata percependo un odore oppure mangiando qualcosa.
A me ad esempio capita quando entro in una panetteria che ha appena sfornato delle brioches; ricordo quando bambino, mia nonna mi teneva per mano e facevamo “la spesa”: prima in macelleria, poi dal fruttivendolo e poi in panetteria….e mi comprava sempre le pagnotte di pan brioche spolverate con lo zucchero a velo.
Ed il “madeleine effect” si ripresenta quando mangio pane e pomodoro: rivivo i pomeriggi seduto sulle scale del palazzo di mia nonna quando lei mi preparava il panino “all’olio“. Lo apriva con le mani, metteva due pomodorini interi e poi lo richiudeva schiacciandolo appena appena per far uscirw un po’ di sugo……eh…che tempi! Mia nonna mi manca tanto…..
E cosí ho condiviso con te alcuni frammenti della mia vita, proprio come il protagonista di “Dalla parte di Swann“; di seguito ecco il passo che ritengo più interessante, in cui la vita di tutti i giorni si scontra per un attimo con il ricordo per poi fondersi con essa.

«Al mio ritorno a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di bere, contrariamente alla mia abitudine, una tazza di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, cambiai idea. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano Petites Madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di una “cappasanta”. E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua casa. Di colpo mi aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, io ero quell’essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava? Dove afferrarla? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda»…..«tutt’a un tratto il ricordo è apparso davanti a me. Il sapore, era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray (perché nei giorni di festa non uscivo di casa prima dell’ora della messa), quando andavo a dirle buongiorno nella sua camera da letto, zia Leonie mi offriva dopo averlo intinto nel suo infuso di tè o di tiglio. La visita della piccola madeleine non mi aveva nulla prima che ne sentissi il sapore; forse perché spesso dopo di allora ne avevo viste altre, senza mai mangiarle, sui ripiani dei pasticcieri, e la loro immagine si era staccata da quei giorni di Combray per legarsi ad altri più recenti; forse perché, di ricordi abbandonati per così lungo tempo al di fuori della memoria, niente sopravviveva, tutto s’era disgregato»

Ecco allora che la realtà e la spiritualità diventano una cosa sola innalzando l’indice del gradimento sensoriale a livelli prima irragiungibili. In questo passo un ricordo viene risvegliato dai sensi, non dal pensiero.

EMOZIONARSI PER EMOZIONARE
Nel MARKETING quando si realizza una campagna di promozione si crea sempre un messaggio ben preciso che si fonde col prodotto da vendere. Si impreziosisce con frasi ad effetto, una visual accattivante ma soprattutto con un carico emozionale che permette di instaurare un legame tra il prodotto ed il potenziale acquirente.
Una cosa simile avviene quando uno chef crea un piatto; certo bisogna creare una pietanza attenendosi alle regole del food cost ed alla filosofia aziendale ma occorre seguire il cuore.
Un cuoco che crea un piatto seleziona attentamente le materie prime, prova diverse tecniche di lavorazione prima di scegliere quali usare, prova diversi abbinamenti…..ma non deve mai dimenticare di emozionarsi e raccontarsi attraverso la sua creazione.
L’emozione è dentro di noi e per suscitare entusiasmo e meraviglia in chi mangia un cuoco deve aver provato in prima persona quell’entusiamo: EMOZIONARSI PER EMOZIONARE, appunto.
E la cosa che più sorprende è che nel tasting le sensazioni cambiano di persona in persona: ammirazione, incanto, disgusto, entusiasmo, noia, felicità….

Se un operatore della ristorazione, sia cuoco o barman, riesce a razionalizzare questo sapere e farlo proprio certamente faciliterà di molto il proprio percorso professionale.


Ti consiglio un’interessante mini-guida sull’ANALISI SENSORIALE legata al vino CLICCA QUI

IL SENSO ANIMALESCO: l’olfatto
Il senso più primitivo: con il passare dei secoli abbiamo educato e raffinato la ricezione dei diversi stimoli olfattivi ma puntualmente accade qualcosa che ci riporta al tempo in cui eravamo animali.
Sin dall’alba dei tempi è per l’uomo uno strumento per la sopravvivenza e per il piacere.
Permette all’uomo di distinguere tra più di 10mila molecole odorose diverse.
É il nostro senso più animalesco, non possiamo  assopirlo…. soprattutto se si lavora a stretto contatto con cibi e bevande.

Sul web trovi EMPIRE OF SCENTS, conosciuto anche con il nome “LE NEZ“, un affascinante documentario sull’olfatto. Ti connsiglio di visonarlo, appena puoi.

L’olfatto è connesso al nostro sistema limbico ed è fondamentale nella costruzione della memoria sensoriale delle relazioni. Basti pensare che le prime relazioni genitore-bambino si creano attraverso gli odori; il bimbo riesce a riconoscere i genitori annusandoli. L’olfatto quindi come strumento d’imprinting: sin da tenera età leghiamo esperienze e ricordi (antichi) agli odori, agli aromi ed ai profumi.

Ecco come una semplice madeleine riporta ad un passato privatissimo che nessun altro ha vissuto e conosce a parte chi effettua questo “viaggio temporale“.
E considerando quanto gusto ed olfatto siano interconnessi educare l’olfatto é fondamentale.
La Disney-Pixar qualche tempo fa realizzò RATATOUILLE, un lungometraggio animato davvero stupendo. La scena in cui Anton Ego assaporando un piatto ritorna alla sua infanzia è un chiaro tributo all’opera letteraria di Proust.

Senza il senso dell’olfatto (assieme a quello del gusto, ovviamente) il critico gastronomico avrebbe apprezzare solo a metà la pietanza, senza rivivere con gioia e rimpianto la propria infanzia.

ricorda
Il nostro naso non dimentica mai

CONCLUSIONI

Mi piace leggere e quasi sempre al termine della lezione consiglio libri che ritengo interessanti per i miei ragazzi. Cerco di invogliarli e spingerli verso la cultura, sempre. Purtroppo le scuole professionali sono ancora viste da molti come un eposito di inettitudine, un luogo dove l’ignoranza incontra l’inciviltà, dove frequentano solo i ragazzi che non vogliono studiare.
Ma per fortuna non è così: personalmente amo i ragazzi degli istituti professionali.

Non ho mai insegnato ai miei allievi;
ho solo cercato di fornire loro le condizioni in cui possono imparare.
Albert Einstein

Adoro quel loro dualismo che traspare quando in classe sono assonnati perchè hanno lavorato la sera prima (spero di esser stato chiaro).

Se sai guardare, tra i banchi è possibile leggere storie molto affascinanti e conoscere ragazzi unici e pieni di voglia di fare. Dentro hanno una fiamma che ho l’obbligo di alimentare. DEVO FARLO!
E per riuscirci mi reinvento ogni volta, cerco di rendere sempre interessanti le mie lezioni con l’ausilio delle TIC, con racconti biografici, facendoli incontrare con miei amici del mondo del lavoro…..e spronandoli a ricercare la conoscenza.

Mappa concettuale = L’alimentazione degli antichi romani

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Ecco la mappa concettuale dell’argomento: L’ALIMENTAZIONE DEGLI ANTICHI ROMANI.
Con questa mappa si evidenzia come i romani seguissero giù una dieta dagli alti valori nutritivi, utilizzavano molte verdure e legumi e crearono numerose ricette.

Per scaricarla, cliccare con il tasto destro e SALVA CON NOME



Il presente Learning Object è di proprietà esclusiva di Giuseppe Alfredo Ruggi autore del blog RISTORAZIONE CON RUGGI ed è protetto dalla legge sul diritto d’autore n. 633/1941 e successive modifiche. Nessuna immagine, schema, mappa, video, documento o learning objects ha scopo di lucro. Hanno quindi esclusivamente finalita’ culturali e/o didattiche. Invito quindi a non rimuovere e\o modificare la presente immagine e di segnalare nel caso di utilizzo, inviando una mail a profruggi@gmail.com.

Questo blog ha lo scopo di condividere notizie ed esperienze, 
non far tuo qualcosa che è di tutti.
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L’alimentazione degli antichi romani

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Abito a Castellammare di Stabia, una città che purtroppo oggi è conosciuta per la pessima amministrazione, per la forte crisi imprenditoriale e per le frequenti vicende di cronaca nera.

Eppure questa città possiede patrimoni unici nel suo genere: bosco, mare, biodiversità, prodotti enogastronomici eccellenti, acque minerali e scavi archeologici.
Stranamente pochi ancora oggi sanno che a Castellammare di Stabia è possibile visitare le ville romane dei ricchi patrizi e degli appartenenti alla cerchia imperiale. L’antica Stabiae fu una delle mete preferite dall’aristocrazia romana; ancora oggi si può camminare tra le mura delle dimore di lusso perfettamente conservate (come la villa di Arianna ad esempio).
All’interno di Villa San Marco è stata ricostruita una cucina tipica dell’epoca romana.

Talmente completa che sarebbe possibile preparare pietanze ancora oggi (mi riservo di scrivere un articolo sul funzionamento delle cucine antiche romane).

L’ALIMENTAZIONE DEGLI ANTICHI ROMANI

I miei affezionati lettori mi apprezzano per la mia sincerità.
Posso quindi apertamente dire che è impossibile riuscire a schematizzare completamente ed a riassumere un argomento tanto vasto quanto complicato come questo.

La storia è continua evoluzione così come l’alimentazione.

Cercherò tuttavia di evidenziare i punti più caratterizzanti e di descrivere alimenti e ricette, usi e tecniche degli antichi romani.
I PASTI DELLA GIORNATA ROMANA
La giornata di lavoro per i romani era scandita dalla luce solare. Lavoravano dall’alba fino al tramonto.

I pasti della giornata erano principlamente divisi in tre momenti (ovviamente facevano anche “merenda”):

=> ientaculum = una ricca colazione. Consumavano gli avanzi della cena della sera prima abbinando focacce, miele, olive e uova. Come accade ancora oggi, i bambini invece facevano una colazione diversa con miele, latte e focacce dolci;
=> prandium = il pranzo diventava una vera e propria pausa. Era un pasto leggero. I romani amavano pranzare fuori andando in locali come le cauponae, le popinae, le thermopolia
=> coena = era il pasto principale dell’intera giornata. Si mangiava formaggio, frutta fresca, zuppe (di legumi e cereali). Sviluppandosi con gli anni, nella cucina romana furono introdotte pietanze a vbase di carne (sulle tavole dei patrizi, i romani più ricchi). 
Oggi conosciamo le usanze degli antichi romani grazie alle testimonianze scritte lasciateci da Catone, Columella, Petronio, Apicio, Giovenale, Marziale…solo per citarne alcuni.

Conosci chi fu il grande Apicio, il più celebre cuoco dell’epoca romana? CLICCA QUI


Quali materie prime utilizzavano i romani?
Ovviamente mancavano molti cibi di oggi come leggerai più avanti.
Tuttavia l’alimentazione era molto variegata ed anche se l’industria cinematografica ci ha abituati a vedere paffuti romani che mangiavano vacche intere arrostite in verità consumavano molte verdure.
La dieta romana prevedeva l’impiego di molte verdure:
  • carote;
  • asparagi;
  • lattuga;
  • cipolla;
  • porri;
  • indivia;
  • zucche;
  • cetrioli; 
  • malva;
  • cavoli;
  • cime di rapa;
  • cicoria;
  • carciofi;
  • barbabietole;
  • cardi;
  • rape;
I romani erano grandi mangiatori di legumi.
Molte varietà italiane erano giù presenti in epoca romana, come le cicerchie ad esempio.
La triste verità è che molte specie sono andate perse col passare del tempo.
I legumi cucinati all’epoca erano:
  • lupini;
  • fave;
  • piselli;
  • lenticchie
  • ceci;

Il pesce era un alimento molto apprezzato al punto che i romani più ricchi costruivano delle vasche di allevamento (piscinae) all’interno delle loro ville.

Il nostro Mar Mediterraneo (all’epoca molto più pescoso) forniva tantissimo pesce:
  • sarde;
  • calamari;
  • seppie;
  • sgombri;
  • torpedini;
  • sogliole;
  • orate;
  • saraghi;
  • muggini;
  • passere;
  • tonni;
  • dentici;
  • triglie;
  • scorfani;
  • mitili;
  • polipi;
  • tanti crostacei ….

Consumavano carne sia lavorandola ottenendo prosciutti ed insaccati vari che lardo. Cucinavano animaliadoperanto il fuoco e tecniche di cotture alquanto complesse (immersione in grassi o altri liquidi). 

Tra le carni più consumate ritroviamo:
  • bovini (non consumati spesso, come accade oggi);
  • maiali;
  • polli,
  • oche;
  • capretti ed agnelli;
  • selvaggina come cinghiali, cervi, lepri e piccoli volatili;
  • lumache;
  • rane;

Si consumavanno anche alcuni agrumi, come il cedro ed il limone e tanta frutta fresca:

  • mele; 
  • melograni;
  • mele cotogne;
  • pere;
  • more;
  • prugne;
  • ciliegie;
  • albicocche;
  • pesche;
  • meloni e cocomeri;
  • fichi;

e frutta secca

  • noci;
  • mandorle;
  • datteri;
  • nocciole;
  • pinoli;

Non manca la preparazione di tanti formaggi (soprattutto caprini) ed il consumo di olive e la produzione di olio e di vino (eredità della Magna Grecia).

Alla base dell’allimentazione romana c’erano i cereali come:
  • segale;
  • miglio;
  • grano duro (importantissimo il farro);
  • avena;
  • orzo.

L’orzo era invec alla base dell’alimentazione del soldato.

CLICCA QUI e scarica gratis lo schema riassuntivo sulla DIETA DEL SOLDATO ANTICO.

Cosa non conoscevano gli antichi romani?
Per ovvi motivi storici sulla tavola degli antichi romani mancavano molti alimenti.
I romani non conoscevano:
  • le patate;
  • i peperoni;
  • il caffè;
  • le zucche;
  • le melanzane;
  • i pomodori;
  • il riso;
  • il granturco;
  • il cacao;
  • tantissima frutta e verdura proveniente dai popoli orientali (Cina in particolare) come molti tipi di agrumi (mandarini, cedri, arance) e frutti che oggi definiamo “tropicali“; 

Oggi non sapremmo fare a meno di questi alimenti eppure nessun impero a quel tempo era tanto multi-etnico come l’Impero Romano ed i suoi cittadini erano abituati a gustare e sperimentare piatti nuovi (per l’epoca s’intende), con ingredienti stranieri provenienti da paesi appena conquistati e scambi commerciali con il mondo arabo.

IL PANE PER GLI ANTICHI ROMANI
L’arte bianca era molto sviluppata per i romani che già conoscevano diversi tipi: nero, bianco, con i semi, con e senza lievito, con diversi tipi di farine.
Già  a quel tempo la farina veniva divisa in base alla macinatura (oggi diremmo in base alla presenza di ceneri): “cibarium” era la farina integrale, “simila” era la farina intermedia e “pollen” era il fior di farina.

Il “pistor” ovvero il panettiere romano conosceva già la lievitazione ed impiegava già il lievito chiamato “fermentum”
Pensa che utilizzavano già il lievito di birra ottenuto dalla produzione della bevanda (la bevanda era conosciuta con il nome “cervisia).
LE SALSE ROMANE
Apicio ci ha lasciato un enorme quantità di ricette di salse antiche. A quanto pare esse avevano un doppio scopo: rendere più succulente le pietanze ma anche coprire sgradevoli sapori ed odori dovuti alla cattiva conservazione.
Le salse venivano preparate “personalizzandole” in base all’abbinamento; utilizzate specialmente con carni e pesce.
Tuttavia accompagnavano anche legumi e verdure.
Per la loro preparazione si utilizzava vino e mosto cotto oppure vino passito.
Molte salse prevedevano l’utilizzo di olio o di aceto ed acqua. Tutto veniva combinato con molte erbe aromatiche, semi e spezie provenienti da terre lontane (sesamo, sedano, ginepro, bacche di mirto, alloro, menta, zenzero, origano, chiodi di garofano, finocchio, santoreggia, senape, annice, prezzemolo, coriandolo, cerfoglio, cumino, aneto, lavanda, zafferano, cardamomo; semi di papavero).
Per addensare queste salse si usava pane sbriciolato o uova oppure l’amido di frumento.
LA PASTICCERIA AL TEMPO DEI ROMANI
Come hai letto, i romani conoscevano molto bene come utilizzare i cereali ed il lievito ma i dolci preparati erano molto diversi da quelli fatti oggi nella pasticceria attuale. Eppure preparavano già omelettes dolci e dei soufflès alla frutta. in Italia la pasticceria siciliana conserva ancora molti aspetti legati all’antichità (con numerevoli contaminazioni arabe, certo).
Celebre un affresco rinvenuto nella villa di Poppea a Torre Annunziata in cui è raffigurata una cassata chiamata dagli studiosi “cassata Oplontis“. 
E’ raffigurata elegantemente impiattata e poggiata su un sostengo. Ovviamente è da ricordare che i Romani con conoscevano lo zucchero. Gli studiosi ritengono fosse addolcita con il miele.
LA BEVANDA PER ECCELLENZA: il vino 
Il vino era la bevanda più consumata. Non era mai bevuta pura (solo i barbari la consumavano pura).
I romani diluivano il vino con acqua e/o con aceto e lo addolcivano con il miele. Inoltre venica “condito” con spezie.Soprattutto la sera e nei banchetti questa bevanda non doveva mai mancare.

Vuoi approfondire la storia del Vino? Leggi questo mio interessante articolo
CLICCA QUI

Il vino nell’Impero romano veniva prodotto principalmente in Campania (Falerno e Massico), in Grecia, in Spagna, in Gallia (dove si producevano giù i vini aromatizzati).

Analizzando i resti rinvenuti in zone archeologiche come la celebre Pompei e le testimonianze lasciate scritte possiamo dire che il vino romano aveva una scadenza molto breve ma capitava che per allungarne la conservazione venisse allungato con acqua di mare o resine.

POTRAI SCARICARE LA MAPPA CONCETTUALE 
CHE RIASSUME L’INTERO ARTICOLO
Quest’argomento è ideale per le classi prime e seconde degli istituti professionali di enogastronomia.
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Lingue di Procida: dolce tipico – storia e ricetta

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Tra le tante bellezze in Campania spettacolari sono le isole del golfo di Napoli, specialmente l’isola di Procida. Una vera bomboniera con le sue casette colorate, il mare cristallino ed il suo ritmo molto lento.
Per descriverla utilizzerò le parole della grande Elsa Morante.

“La mia isola ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali.
Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere.
Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre.
Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada.
Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di trovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua. “
Ecco come la scrittrice ci presenta Procida nel suo romanzo “L’isola di Arturo“. 
Come avrete capito questa meravigliosa isola ha tanto da offrire per la gioia degli occhi….ma anche del palato. Ci sono ottimi prodotti alimentari ed il vino è favoloso, per non parlare dell’ottima cucina locale. E tra le tante specialità è O B B L I G A T O R I O comprare e mangiare la LINGUA DI PROCIDA.

Si tratta di pasta sfoglia che racchiude crema pasticcera al limone. La versione storica prevede l’utilizzo dei limoni procidani – FANTASTICI – ma nelle pasticcerie e nei bar troviamo anche lingue di Procida con crema al cioccolato.

STORIA
Le testimonianze storiche designano il pasticciere napoletano Pasquale Mazziotti come inventore di questo dolce. Il pasticciere si trasferì sull’isola negli anni ’50 e propose la lingua nella sua pasticceria.
Ancora oggi questo dolce sembra essere diventato simbolo dell’isola, come avviene per il babà con Napoli. Ancora oggi sull’isola gli eredi di P. Mazziotti continuano la tradizione (a Piazza Olmo).

UN SABATO GIOIOSO
Ogni sabato prendendo la nave delle 6.15 da Napoli per Ischia, passo sempre per Procida. Ebbene, sabato scorso un mio alunno di Procida si presentò a me proprio su quella nave con un vassoio incartato tra le mani.
Tieni prof. Queste sono per voi“, mi disse Sergio S. sorridendo e porgendomi il vassoio.
Ero seduto, così poggiai il vassoio sulle gambe, lo aprii e mi ritrovai questo incanto.
RAGAZZI…CHE VISIONE CELESTIALE ALLE 7.20 DI MATTINA!!

Ecco le Lingue di Procida belle calde calde

Produzione “Dal Cavaliere“, un’istituzione culinaria dell’isola (il locale si chiama così in onore del vecchio proprietario nominato appunto, Cavaliere della Repubblica).
Sono rimasto ad ammirarle per un po’ di tempo prima di scoprirle.

Paolo Coelho una volta disse “Ogni gesto di un essere umano è sacro e pregno di conseguenze“e Sergio con questo gesto ha scalato la top ten dei miei alunni preferiti di Ischia. :)
Così assieme ad i miei colleghi pendolari abbiamo fatto una colazione totalmente MADE IN PROCIDA.

Premesso che mangiare la lingua di Procida ammirando l’isola ed il suo mare mentre si naviga è un’esperienza che NON HA EGUALI, condivido con te caro lettore la ricetta della classica lingua di Procida.

N.B. 
In molti chiamano la lingua di Procida anche “Lingua di Bue“….i più cattivi anche “Lingua di Suocera

RICETTA
Ecco a voi la ricetta così potrete farli anche a casa (non voglio sminuire le vostre abilità ma mangiarli a Procida è tutta un’altra storia!):

Ingredienti:
  • 500 g di pasta sfoglia (trovi la ricetta dell’impasto nel blog);
  • 500 g di crema pasticcera  (trovi la ricetta di diverse varianti nel blog);
  • zucchero semolato (quanto basta);
  • 1 tuorlo;
  • 1 albume;
Procedimento:
Stendete la pasta sfoglia (deve avere uno spessore di circa 3 mm). Praticate qualche microforellino per non far rigonfiare troppo la pasta. Formate degli ovali e poi su metà di essi stendete la crema pasticcera, lasciando un po’ di bordino (come fosse una cornice). Con un pennellino stendete l’albume sui bordi di pasta e poi sovrapponete la sfoglia; l’albume fungerà da collante e sigillante. Sovrapposta l’altra metà spennellate con il tuorlo ed “impanate” con zucchero semolato.  Infornate in forno giù caldo a 180° per circa 20/25 minuti. Va mangiata bella tiepida. 

CHE BONTA’ RAGAZZI!!

Schema – Le trasformazioni fisiche in cucina

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Tutti sappiamo che la cottura è un processo fisico che va a modificare la struttura degli alimenti.
Ecco uno schema su LE TRASFORMAZIONI FISICHE IN CUCINA.
Con questo schema ho cercato di riassumere le trasformazioni dividendole e facendo degli esempi pratici.

Per scaricarla, cliccare con il tasto destro e SALVA CON NOME

Il presente Learning Object è di proprietà esclusiva di Giuseppe Alfredo Ruggi autore del blog RISTORAZIONE CON RUGGI ed è protetto dalla legge sul diritto d’autore n. 633/1941 e successive modifiche. Nessuna immagine, schema, mappa, video, documento o learning objects ha scopo di lucro. Hanno quindi esclusivamente finalita’ culturali e/o didattiche. Invito quindi a non rimuovere e\o modificare la presente immagine e di segnalare nel caso di utilizzo, inviando una mail a profruggi@gmail.com.
Questo blog ha lo scopo di condividere notizie ed esperienze, 
non far tuo qualcosa che è di tutti.

Event Planner al tempo dei Cesari ovvero come organizzavano un banchetto gli antichi romani

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Molte volte mi capita di viaggiare con la fantasia, pormi mille perchè su determinati avvenimenti storici e di fantasticare bislaccamente.
Ecco che  mentre scrivevo il mio articolo L’alimentazione ai tempi degli antichi romani comododamente seduto sul mio divano, in TV davano il simpaticissimo film THE WEDDING PLANNER con protagonista Jennifer Lopez ……….ed ho pensato:
- ma com’era organizzare un evento nella Roma antica?
- i banchetti erano così diversi dai buffet di oggi?
Oggi ogni evento viene personalizzato in base a diversi fattori: tipologia, numero di persone, stagionalità, tipo di menu…..ma era così diverso per gli antichi romani?
Gli storici ci dicono di NO

IL SERVIZIO

Oggi chi studia hotellerie (e molti appassionati) sanno bene che esistono diverse tipologie di servizio (all’italiana, alla russa….etc..etc..). Accadeva qualcosa di simile anche nell’antichità.
Nei primi secoli dalla nascita della grande Roma i commensali consumavano i pasti in piedi; poi col passare del tempo con l’evolversi dei modi di vivere e della società i romani iniziarono ad usare una stanza adibita esclusivamente ai pasti: la sala da pranzo chiamate triclinium.
Molto diversa dalla nostra: c’era un tavolo ovale affiancato da sgabelli simili ai divani moderni. I commensali si sdraiavano sui lecti tricliniares e consumavano i pasti in questo modo a quasi qualunque ora (giorno e notte). Chi possedeva una grande casa aveva diverse stanze da pranzo che venivano occupate in base alla stagionalità e la posizione del sole.

 
Quando in cucina i cibi erano stati ultimati  venivano messi su un grande vassoio, il ferculum e portati sulla tavola ovale, senza tovaglie.

Si usava vasellame di coccio normalmente per il servizio. Nelle case dei più ricchi il vasellame era d’argento ed ornato da pietre opache (le murrine).
Gli schiavi “assistenti di sala” avevano il compito di allestire e curara la tavola di servizio: su di essa c’era l’acetabulum (l’ampolla con l’aceto), la salinum (la saliera), i dentiscalpia (gli stuzzicadenti) e la muscarium pavoninum (uno schiacciamosche fatto da penne di pavone).

SI MANGIAVA CON LE DITA
A quel tempo siccome non si usavano le posate, per pulirsi le mani tra una portata e l’altra, i romani usavano lavarsi con delle piccole brocche d’acqua profumata (oggi usiamo le salviette qualche tempo fa le finger-bowl) e si asciugavano con dei pezzi di stoffa chiamate mappa. Erano dei tovaglioli personali che portavano sempre con loro. Gli schiavi pulivano loro sia mani che piedi.
Siccome mangiavano con le mani, per comodità, tutti i cibi venivano serviti già in piccoli pezzi oppure erano gli schiavi che tagliavano i bocconi per i loro padroni. Esisteva già il cucchiaio: si chiamava ligulae ed era inizialmente in legno, poi venne realizzato in metallo. Più tardi fu introdotto uno strumento per mangiare uova e lumache più comodamente, il cochlear.

il brindisi romano: oggi conosciamo tanti modi per omaggiare il festeggiato ma il brindisi resta sempre un evergreen. I romani bevevano alla salute tanti bicchieri quante le lettere del nome del festeggiato o di chi aveva organizzato il banchetto o del padrone di casa.

UN PERFETTO OUTFIT
Quando si partecipava ad un banchetto, i romani utilizzavano un abbigliamento particolare, la vestis coenatoria o synthesis. Si trattava di una tunica di lino colorata molto più larga e lunga di quella normale. Agli schiavi veniva affidata più di una tunica perchè il padronee sporcandosi doveva cambiare la veste più volte durante il pasto. Anche la calzatura era specifica: invece dei comuni sandali usavano le solae, antenati delle nostre pantofole (erano usate solo in casa).

CHI CUCINAVA
In una tipica casa romana la responsabile della preparazione dei pasti era la padrona di casa (come accade nelle case di noi napoletani!); cucinava, preparava la sala e gestiva le vivande e bevande proprio come una perfetta e moderna chef.
La moglie del padrone di casa era a capo di una vera e propria brigata composta da: i coqui (cuochi), i culinarii (aiutanti), i pistores (i pasticcieri), i fornacarii (i maestri panificatori). 
Vuoi conoscere di più sulle ricette romane e su Apicio, il cuoco degli antichi romani? CLICCA QUI






 
 

Perchè i romani mangiavano sdraiati?
Nell’antichità egizi e greci mangiavano da seduti, solo il popolo romano mangiava da sdraiati. Era un’abitudine si pensa ereditata dagli antichi Etruschi. Tutto il popolo romano mangiava disteso sui “divanetti inclinati” (kline). Esistevano anche divanetti a più posti e non solo i più ricchi mangiavano sdraiati. Anche i romani più poveri lo facevano (specialmente nel periodo delle festività). Tutti i cittadini liberi, la posizione era proibita agli schiavi. Restavano seduti anche le donne ed ai bambini (più tardi, in pieno IMPERO ROMANO, alle donne facoltose fu concesso di mangiare nella stessa posizione degli uomini). Anche i clienti delle taverne mangiavano seduti.

Tramite numerosi affreschi e decorazione su vasellame conosciamo la posizione esatta: 
distesi in un lettino leggermente inclinato (kline), con accanto un tavolo di piccole dimensioni, 
rivolti verso la tavola principale, appoggiati su un cusino con il gomito sinistro, 
mantenevano il piatto con la mano sinistra.

L’IMPORTANZA DI STARE SDRAIATI
Durante i banchetti si conversava sulla politica, sull’arte e sulla filosofia, si parlava d’affari e di lavoro ma capitava quasi sempre che ci addormentasse tra una portata e l’altra proprio per la posizione comoda. Stando sdraiati inoltre era possibile ingerire più cibo
Mangiare da sdraiati voleva dire avere gran potere, si apparteneva ad una classe privilegiata. Pensa che Catone l’Uticese per protestare contro la tirannia di Cesare decise di mandiare seduto (oggi invece facciamo lo sciopero della fame).

Spero che questo “viaggio temporale” sia stato di tuo gradimento.
Nel prossimo articolo parlerò della sala da pranzo, farò confronti con le sale ai giorni d’oggi e di come erano moderni gli antici romani sull’attenzione al dettaglio ed al comfort.
Ti ricordo che all’interno del blog trovi la sezione STORIA con tante curiosità e la sezione DIDATTICA con  LEARNING OBJECTS con schemi ideali da usare a scuola.

Allegato a quest’argomento trovi le seguenti mappe concettuali:


La cipolla è un’altra cosa – analisi e video

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Assistendo in una lezione di Italiano mi sono imbattuto in questa poesia, davvero bellissima!

 

Scritta da Wislawa Szymborska (poetessa polacca e premio Nobel) e raccolta insieme a tante altre bellissime poesie in “Elogio dei sogni“.
    La cipolla è un’altra cosa
    Interiora non ne ha.
    Completamente cipolla
    fino alla cipollità.
    Cipolluta di fuori,
    cipollosa fino al cuore,
    potrebbe guardarsi dentro
    senza provare timore.

    In noi ignoto e selve
    di pelle appena coperti,
    interni d’inferno,
    violenta anatomia,
    ma nella cipolla – cipolla,
    non visceri ritorti.
    Lei più e più volte nuda,
    fin nel fondo e così via.

    Coerente è la cipolla,
    riuscita è la cipolla.
    Nell’una ecco sta l’altra,
    nella maggiore la minore,
    nella seguente la successiva,
    cioè la terza e la quarta.
    Una centripeta fuga.
    Un’eco in coro composta.

    La cipolla, d’accordo:
    il più bel ventre del mondo.
    A propria lode di aureole
    da sé si avvolge in tondo.
    In noi – grasso, nervi, vene,
    muchi e secrezioni.
    E a noi resta negata
    l’idiozia della perfezione.

La poesia è composta da 4 strofe di 8 versi ciascuna.

IL SIGNIFICATO
L’uomo è una creatura che fa invidia a tutte le altre perchè la sua natura complessa (a differenza della natura semplice e perfetta della cipolla) lo rende capace di poter fare tutto, capace anche di cose impossibili. Ma non solo capace di azioni belle ma anche di commettere atrocità e delitti. 
Ma a differenza della cipolla, l’uomo possiede i sensi e dovrebbe ambire alla perfezione, ricercarla dentro se stesso ma resta un essere inetto, tanto intelligente quanto incapace di guardarsi dentro e di  capire dove ha sbagliato per non ricommettere gli stessi errori in futuro.
Su Youtube è possibile ascoltare questa poesia letta dalla sua stess autrice
Wisława Szymborska è stata premiata con il Nobel nel 1996 ed è considerata da tutti la più grande ed importante poetessa polacca degli ultimi anni. Interessante e che fa molto riflettere (come la poesia riportata sopra) è anche “Scrivere un Curriculum” (la trovi nel blog cliccando qui).
Ma sulla cipolla anche il grande Pablo Neruda ha dedicato una poesia intitolata “Ode alla cipolla” (cercala, la trovi anche sul blog).

Come impostare la mail di ISTRUZIONE.IT sul proprio PC e sul proprio smartphone

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Sai quanto è comodo avere sempre a portata di “mano” la mail senza dover obbligatoriamente aprire il browser ed andare sul portare di istruzione.it? 
Sulla mail istituzionale @istruzione.it arrivano dati di ISTANZE ONLINE, documenti del MIUR, ricevute dei concorsi e comunicazioni nel caso di eventuali esami di Stato. Sei stato individuato come COMMISSARIO ESTERNO? E qui che arriverà quasi certamente la comunicazione.
Ora capisci quanto è importante per un docente controllare spesso questa mail.
Ecco allora questa piccola guida che ti permette di impostare ad esempio il cellulare per ricevere le mail. 
(la guida si riferisce alla mail con indirizzo @istruzione.it consegnate ai docenti di ruolo o non nelle istituzioni scolastiche pubbliche)
 
Devo essere sincero, il MIUR ha realizzato un portale davvero ben fatto dalla grafica molto intuitiva. Ma impostare sul proprio device la mail ti permette una lettura quasi immediata.
Non è difficile.
IMAP O POP3
Prima di spiegarti attentamente come settare tutto devo spiegarti brevemente un apiccola differenza.
Quando aprirai l’applicazione di gestione ti capiterà di scegliere se impostare un account con metodo IMAP o metodo POP3.
Il metodo Pop3 nasce per utilizzare la mail su un singolo dispositivo. Le mail verrano scaricate e cancellate dal server. Resteranno solo sul dispositivo. Se accedi sul portale non troverai più nulla.
Il metodo Imap nasce per utilizzare la mail su più dispositivi. Le mail verrano scaricate ma resteranno comunque in memoria sul server. Se accedi sul portale troverai tutte le tue mail.
Il mio consiglio? 
SCEGLIETE IL METODO IMAP. Non rischierete di cancellare messaggi importanti
SU PC 
Su pc esistono molti programmi di gestione mail come OUTLOOK, THUNDERBIRD, OPERA  MAIL, POSTBOX, AIRMAIL….(e tanti altri).
Ti troverai davanti una schermata del genere…
Basta digitare i parametri che trovi più in basso e cliccare AVANTI.
Riceverai immediatamente le mail.

SU DISPOSITIVI ANDROID (smartphone e tablet)
Nei dispositivi ANDROID trovi sempre un gestore MAIL. Quasi sempre ne trovi due (uno generico ed il gestore GMAIL). Tuttavia su PLAYSTORE ti consiglio K-MAIL, un’app molto intuitiva e davvero ben fatta (senza pubblicità  invadenti).
Aprendo l’app basta inserire i parametri che trovi in basso e potrai immediatamente ricevere ed inviare mail.
I PARAMETRI DA IMPOSTARE
Nome Account o User Name ====> nome.cognome (senza @istruzione.it)
Indirizzo posta ====> nome.cognomee@istruzione.it
Server IMAP ====> imap.istruzione.it 
Porta IMAP: 143
Server SMTP ====>  smtp.istruzione.it
Porta SMTP: 587
Hai riscontrato difficoltà?
Vuoi un ulteriore aiuto?
Commenta in basso oppure contattami utilizzando il form in CONTATTI

Non chiamatelo semplicemente cornetto: classificazioni e differenze

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Si fa presto a dire: “stamattina faccio colazione con cappuccino e cornetto
Molte volte (quasi sempre) si confonde una brioche con un croissant e viceversa.
MADORNALE ERRORE 
Ti confesso che mi è capitato di conoscere pasticceri che non sapevano la differenza tra un croissant ed un cornetto quindi non disperare, leggi l’articolo e ne saprai di più

Prima di passare al dettaglio i tre tipi di “cornetto” (preparazione dolciaria a forma di mezza luna) ecco una schema che permette di confrontarli in base agli ingredienti.
Ecco ora una leggera analisi sui tre tipi di “cornetto“:
Cornetto classico
Quasi tutti sono concordi con l’affermare che il cornetto è la versione italiana del croissant.
La ricetta è bilanciata in maniera molto diversa da quella del classico croissant ed all’interno dell’impasto sono presenti le uova. La ricetta ricorda quella della pasta brioche ma con le opportune modifiche. Le migliori pasticcerie hanno ricette uniche e personalizzate.
 

 

Gli ingredienti sono: farina, burro, miele, uova, aromi (quasi sempre vaniglia o buccia di arancia), sale, zucchero, lievito. Lo si trova in tutti i bar e pasticcerie d’Italia ma sono pochi quelli che vendono prodotti freschi. Purtroppo l’industria dei surgelati ha pian piano quasi monopolizzato questa produzione dolciaria.
Croissant 
I maestri del petite déjeuner (i francesi) sono ovviamente i creatori del croissant.
E ci tengo a precisare subito:  
il croissant è fatto senza uova! 

Non ha un gusto preciso se non per il sapore di burro (che deve essere BURRO e non margarina);  il gusto è quindi quasi neutro. E gli amatori del croissant lo gustano così, al naturale, senza nessun tipo di farcitura (nessuna crema, nessuna confettura, nessuna marmellata).

Questa preparazione dolciaria appartiene alla categoria dei dolci delle “viennoiserie” ovvero esercizi commerciali austriaci che preparano esclusivamente  dolci da forno; da distinguere dalle “patisserie” che sono invece le pasticcerie che realizzano invece tutto (prodotti da forno, creme, Glass.  etc.  etc) .
Con il termine “viennoiserie” in pasticceria si identificano i dolci da forno come i croissant, i bignè, le tarte tatin e tutti i tipi di pane dolce.
A me invece il croissant piace con la farcitura perchè questo tipo di impasto permette, a mio avviso,  di esaltare il sapore del ripieno (crema, cioccolato oppure nelle versioni salate con spuma di salmone o ricotta, ad esempio).
 

Gli ingredienti sono: farina, burro, sale, acqua, zucchero, lievito. Per i più attenti è evidente che si tratta degli ingredienti della pasta sfoglia, ed in effetti in molti fanno i croissant con la pasta sfoglia. Altri invece preferiscono seguire le ricette dei grandi pasticceri francesi e variare le dosi aggiungendo latte in polvere.

A differenza del cornetto all’italiana il croissant è sempre croccante e friabile (i francesi usano il termine “croustillant”)
Ed a differenza del cornetto italiano non lo troviamo dappertutto.

Cornetto ischitano \ Cornetto Ape
Il cornetto ischitano è la perfetta fusione tra il croissant ed il cornetto all’italiana.
Si parte dalla pasta sfoglia per poi aggiungere l’impasto brioche. Risulta quindi leggero e con più gusto. Normalmente viene farcito come il cornetto italiano classico (con creme, confetture e marmellate).
Il suo aspetto ricorda il corpo di un’ape e quindi qualcuno chiama questa preparazione dolciaria: “cornetto Ape“.l

Ultimamente qui a Napoli si trova molto facilmente, ovviamente nei migliori bar (secondo il migliore è quello firmato ZIO ROCCO Ischitano Doc). 
Anche la farcitura a volte è molto fantasiosa: pere e grappa, fragola e miele, al caramello, rum e cioccolato, crema al caffè.

E tu?
Come fai colazione la mattina?

I colori degli eventi – promessa, laurea e tante altre festività

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E’ un’antica tradizione quella di abbinare i colori personalizzando la scelta a seconda dell’evento. 
Che tu debba organizzare un evento o se sei un ristoratore e vuoi saperne di più, è bene distinguere i diversi colori abbinandoli alle diverse festività e ricorrenze perchè è una consuetudine chiara e precisa e non si possono scegliere colori a caso.
E quando si parla di colori non si deve pensare solo ed esclusivamente ai confetti bensì a tutto ció che compone l’evento: gli inviti e le partecipazioni, i fiori, palloni gonfiabili, tovaglie e tovaglioli, complementi d’arredo, fiocchi e nastri, bomboniere, top cake e colore della panna della torta.
Pensa che ci sono locali che possono allestire la sala variando totalmente il colore di tutto perfino delle luci e delle sedie.
Per quanto concerne la scelta dei confetti, al di la dei colori che vanno scelti secondo un criterio preciso, come leggerai più avanti, per il gusto non ci sono regole. I classici restano sempre i confetti alle mandorle ma il mercato moderno ha creato un’offerta vastissima di gusti (dalla frutta alla pasticceria napoletana come babà e sfogliatella)
I COLORI DEGLI INNAMORATI
Se volete festeggiare delle importanti ricorrenze, conoscere il colore dei confetti e il loro significato è molto importante.
La promessa di Matrimonio ed il semplice fidanzamento: il suo colore è verde
Il Matrimonio

il colore dell’evento più romantico del mondo è il bianco

Ci sono poi gli anniversari di nozze, da festeggiare già dal primo anno:

Primo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Cotone ed il colore di quest’anniversario è il rosa

Quinto anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Seta ed il colore di quest’anniversario è il fucsia

Decimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Stagno ed il colore di quest’anniversario è il giallo

Quindicesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Porcellana ed il colore di quest’anniversario è il beige

Ventesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Cristallo ed i colori di quest’anniversario sono tutte le tinte chiare. Ultimamente va di moda l’arancio tenue

Venticinquesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze d’ Argento ed il colore di quest’anniversario è l’argento

Trentesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Perle ed il colore di quest’anniversario è il bianco perla

Trentacinquesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Zaffiro ed il colore di quest’anniversario è il blu

Quarantesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Smeraldo ed il colore di quest’anniversario è il verde smeraldo

Quarantacinquesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Rubino ed il colore di quest’anniversario è il rosso rubino

Cinquantesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze d’Oro ed il colore di quest’anniversario è l’oro

un esempio di partecipazione ideale per le Nozze d’Oro

Cinquantacinquesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze d’Avorio ed il colore di quest’anniversario è il bianco avorio

Sessantesimo anno di Nozze. Sono chiamate Nozze di Diamante ed il colore di quest’anniversario è il bianco

Ti svelo una curiosità che non tutti sanno: il numero di confetti che si donano agli ospiti dell’evento (e non solo) ha un significato ben preciso. Un confetto vuol dire che si tratta di un evento unico ed irripetibile, tre confetti significa che sono offerti dalla coppia e dal figlio, cinque confetti è un augurio di salute, longevità, benessere, fertilità e felicità;

GLI EVENTI RELIGIOSI

Nascite e Battesimi:il colore cambia a seconda del sesso del nuovo arrivato. ROSA per le bambine e AZZURRO\CELESTE per i bambini.

Negli ultimi tempi per nascite e battesimi al posto dei confetti si preferiscono le caramelle

Prima Comunione: il colore è bianco

Cresima: il colore sonno sia bianco che rosso.
I COMPLEANNI
Per le feste di diciotto anni solitamente regna il colore verde ma ultimamente vanno di moda le feste a tema, quindi il colore dovrà essere uguale per ogni oggetto\decorazione\allestimento all’interno del party.
Per i compleanni si scelgono sempre colori allegri quindi si predilige molto spesso il multicolor, mentre per il dieciottesimo, i confetti si scelgono di colore verde, a simboleggiare la giovinezza.
 
I COLORI DELLE LAUREE
Molti pensano che esista solo un colore per le lauree ma da qualche tempo si caratterizza il colore in base al percorso di studi.
Resta di default il colore rosso, amato e scelto quasi sempre.
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Architettura e Ingegneria si sceglie il colore nero
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Medicina si sceglie il colore lilla
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Giurisprudenza si sceglie il colore blu
Per le lauree che appartengono alla Facoltà Scientifiche si sceglie il colore verde
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Lettere si sceglie il colore bianco
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Pedagogia si sceglie il colore rosa

E tu? 
Segui queste regole o usi altri colori?

Perchè quando si festeggia una laurea si usa il rosso?

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Ogni volta che hai partecipato ad una festa di laurea tutto era in rosso!
Ma ti sei mai chiesto perchè?
Perchè questo colore viene usato in quest’evento?
Perchè il rosso si lega indissolubilmente alla laurea ?
La storia è ricca di curiosità e studiarla ci permette di capire la natura di alcuni comportamenti quotidiani e regole che seguiamo senza realmente conoscerne il motivo, propio come in  questo caso.
Da sempre il rosso è il colore più potente di tutti (è il mio preferito).
E’ simbolo di forza, è il colore del fuoco quindi di una fonte di energia. Proprio come il fuoco che brucia ed annienta tutto quello che incontra, il colore rosso distrugge le energie negative.
E’ in epoca romana che il colore rosso inizia ad essere associato a prestigio ed importanza: infatti gli antichi romani erano soliti usare un mantello da indossare sopra la tunica.
Chi aveva il mantello con la bordatura rossa apparteneva ad una carica politica più alta o ad una classe sociale più prestigiosa.

La corona di alloro
Era semplice capire che si trattasse di qualcosa legato all’antichità….infatti cosa indossa un neo-laureato? La corona d’alloro! 
E sai perchè?
Il termine italiano LAUREA deriva proprio dal nome della pianta di lauro (alloro) che in latino è laurus nobilis. La pianta era sacra per i romani: il dio Apollo (la più importante divinità maschile dopo Zeus: dio del sole, della scultura, della musica e della poesia) indossava una corona di lauro.
Una persona saggia, che ha studiato e si è distinto grazie alla propria cultura indossa quindi una corona di alloro.
Gli altri colori per lauree
Quasi certamente non sai che ci sono alcune lauree che hanno colori ben precisi.
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Architettura e Ingegneria si sceglie il colore nero
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Medicina si sceglie il colore lilla
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Giurisprudenza si sceglie il colore blu
Per le lauree che appartengono alla Facoltà Scientifiche si sceglie il colore verde
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Lettere si sceglie il colore bianco
Per le lauree che appartengono alla Facoltà di Pedagogia si sceglie il colore rosa
Il mio consiglio? Se devi festeggiare o organizzare una festa di laurea non abbandonare mai il colore rosso. Ma se la laurea appartiene ad una di quelle elencate in precedenza puoi usare abbinare i colori accostandoli al rosso.
Vuoi conoscere gli altri colori degli eventi come matrimoni, nozze di diamante, feste di fidanzamento? Leggi questo mio interessantissimo articolo, clicca qui.
Vuoi organizzare un evento a casa tua? 
Clicca qui per leggere cosa ho da offrirti e contattami per ricevere a casa tua la mia esperienza. Pianificazione completa, dalla cucina al servizio.

La valutazione degli apprendimenti nella scuola moderna

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Con il termine valutazione intendiamo genericamente “determinare il valore“. E’ logico che in un contesto scolastico il valore è la cultura ma anche il  progresso a seguito di programmazioni ed obiettivi prefissati raggiunti.
 
La valutazione nella scuola italiana si distingue in interna ed esterna.
La valutazione interna è composta da:
  • valutazione degli apprendimenti che interessa alunni e docenti;
  • autovalutazione d’Istituto, considerata un momento indispensabile per verificare l’efficacia dell’organizzazione e l’efficienza delle risorse. 
La valutazione esterna è condotta da:
  • istituti di ricerca;
  • Certificatori della qualità;
  • Miur;
  • Organismi nazionali e internazionali ecc;
In quest’articolo parleremo della valutazione degli apprendimenti 
Nel corso degli anni il concetto di valutazione è cambiato subendo profonde modificazioni.
All’inizio la valutazione serviva solamente ad accertare i livelli di apprendimento dei discenti. Oggi invece la valutazione è anche uno strumento di diagnosi e di riflessione dellì attività didattica.
La valutazione è il punto di arrivo e di partenza di ogni processo educativo
Insegnare vuol dire obbligatoriamente valutare, sono due processi strettamente connessi tra loro. Ha carattere di continuità e impegna collegialmente gli insegnanti corresponsabili dell’azione didattica .
 
La valutazione per la legislazione italiana
Dagli anni ’70 agli anni ’90
  • la legge 517/1977 abolisce la “pagella” e introduce la “scheda personale”, di carattere informativo, sommativo e terminale e introduce gli esami finali per la scuola elementare;
  • l’O.M. 236/93 introduce “il Documento di valutazione”. La  valutazione è formativa,  coinvolge sia l’alunno che il docente. Quest’ordinanza Ministeriale fornisce un quadro organico di indicazioni arricchito da strumenti operativi che consentono di coniugare le attività di programmazione con la valutazione degli apprendimenti;
  • l’art. 21 comma 9 della legge 59/1997 stabilisce che l’autonomia “si sostanzia nell’obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”;
  • il D.P.R 275/99 all’art. 10 “ verifiche e modelli di certificazione” in cui si introduce il concetto di  verifica periodica del sistema scolastico e di certificazione volte a valutare le conoscenze, le competenze, le capacità acquisite, i crediti formativi;
La Valutazione nel 2000
  • Nel D.l.gs 59/2004 si afferma nettamente la differenza tra valutazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze. Viene introdotto il Portfolio (già dalla scuola dell’infanzia) in cui sono inseriti materiali didattici, osservazioni, commenti dell’alunno, della famiglie e della scuola esemplificativi del suo percorso scolastico ecc. Quando si conclude il primo ciclo di istruzione viene introdotto il PECUP (la sigla sta per Profilo Educativo Culturale e Professionale) che rappresenta “ciò che il ragazzo di 14 anni dovrebbe sapere e fare per essere l’uomo e il cittadino che è giusto attendersi al termine del ciclo di istruzione“;
  • La Nota Ministeriale del 10 novembre 2006 stabilisce che ogni scuola deve adottare una propria scheda di valutazione, che deve comunque prevedere la valutazione delle singole discipline, delle materie opzionali e del comportamento;
  • La Legge 169 del 30 0ttobre 2008  all’art. 3 stabilisce sia per la scuola primaria che per la scuola secondaria di primo grado  che la valutazione periodica e annuale degli apprendimenti, la certificazione delle competenze acquisite, e la valutazione dell’esame finale del primo ciclo (scuola sec. I grado) sono effettuate mediante l’attribuzione di voti numerici espressi in decimi.  Per gli alunni di scuola primaria la non ammissione alla classe successiva può avvenire solo in casi eccezionali comprovati da specifica motivazione. Per la scuola secondaria di I grado non sono ammessi gli alunni che non abbiano raggiunto una votazione di almeno sei decimi.  Rimane  il giudizio analitico sul livello globale di maturazione dell’alunno.
  •  il D.P.R. (DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA) 22 giugno 2009 , n. 122 regolamenta le finalità ed i caratteri della valutazione. 

 Ecco i primi tre articoli del D.P.R. 122:  

1. Il presente Regolamento provvede al coordinamento delle disposizioni concernenti la valutazione degli alunni, tenendo conto anche dei disturbi specifici di apprendimento e della disabilità degli alunni, ed enuclea le modalità applicative della disciplina regolante la materia;
2. La valutazione e’ espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva;
3.  La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo, anche in coerenza con l’obiettivo dell’apprendimento permanente di cui alla «Strategia di Lisbona nel settore dell’istruzione e della formazione», adottata dal Consiglio europeo con raccomandazione del23 e 24 marzo 2000;
Per valutare occorre quindi prefissarsi obiettivi e traguardi ed accertarne il raggiungimento mediante verifiche. Esse possono essere verifiche sia periodiche che finali e devono essere coerenti sia con gli obiettivi di apprendimento che con i traguardi per lo sviluppo delle competenze (esplicitati  dalle indicazioni e declinati nel curricolo).

I tempi della valutazione
La valutazione si può declinare in:
  • valutazione iniziale;
  • valutazione in itinere;
  • valutazione finale;
La valutazione iniziale (definita anche valutazione diagnostica) ha lo scopo di accertare negli allievi il possesso di prerequisiti inerenti conoscenze, abilità e competenze minime richieste per raggiungere gli obiettivi programmati, promuovendo interventi mirati a colmare le eventuali carenze riscontrate. Può esplicitarsi attraverso griglie di osservazioni e  prove strutturate e semi strutturate
La valutazione in itinere (definita anche valutazione formativa) interessa l’alunno in tutte le fasi dell’apprendimento, ne analizza i risultati alla luce della situazione di partenza, dei progressi e dell’impegno, monitorando l’andamento progressivo degli apprendimenti e la costanza nell’applicazione. Ha lo scopo di recuperare, sostenere, approfondire, modificare, il percorso didattico adattandolo alle esigenze dell’alunno che via via possono emergere. La raccolta di questi dati avviene attraverso una serie di strumenti, sebbene meno strutturati, più idonei a registrare il percorso di apprendimento. Si tratta di colloqui, questionari, schede di autovalutazione, griglie di osservazione, liste di controllo e diari di bordo; verifiche brevi e frequenti da somministrare al termine di una unità didattica o di una significativa frazione di essa.

La verifica finale (definita anche valutazione sommativa) ha come oggetto prove osservabili e misurabili, considerate indicatori delle competenze e delle conoscenze da accertare. L’attenzione si focalizza soprattutto sulla prestazione fornita dall’alunno al momento della prova, sul prodotto osservabile e non sull’intero processo di apprendimento. Questo tipo di valutazione richiede strumenti maggiormente strutturati e formalizzati in grado di fornire risultati il più possibile precisi ed oggettivi. 
 
La valutazione sia formativa che sommativa avviene attraverso l’analisi e l’interpretazione dei dati e delle informazioni raccolte con le verifiche.

Cos’è l’INVALSI? E cosa fa?

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L’INVALSI è l’Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico che ha raccolto, in un lungo e costante processo di trasformazione, l’eredità del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE) istituito nei primi anni settanta del secolo scorso.
La sigla sta per Istituto Nazionale per la VALutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione.
L’INVALSI rileva e misura gli apprendimenti, con riferimento ai traguardi, agli obiettivi previsti dalle indicazioni, promuovendo la cultura della valutazione.
Ma non solo, ha diversi compiti come:
  • rilevare la qualità dell’intero sistema scolastico, fornendo alle scuole, alle famiglie e alla comunità sociale, al Parlamento e al Governo elementi di informazione essenziali circa la salute e la criticità del nostro sistema di istruzione;
  • effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni di istruzione e di istruzione e formazione professionale, anche nel contesto dell’apprendimento permanente;
  • gestisce il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV);
  • studia le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell’offerta formativa;
  • effettua le rilevazioni necessarie per la valutazione del valore aggiunto realizzato dalle scuole;
  • per l’esame della scuola secondaria di primo grado predispone annualmente i testi della nuova prova scritta, a carattere nazionale, volta a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti nell’esame di Stato al terzo anno della scuola secondaria di primo grado (ricordo che i risultati della prova Invalsi valgono ai fini dell’attribuzione del voto d’esame);
  • per la scuola del primo ciclo effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità in italiano e in matematica  degli studenti di scuola primaria e secondaria di primo grado;
  • fornisce supporto e assistenza tecnica all’amministrazione scolastica, alle regioni, agli enti territoriali, e alle singole istituzioni scolastiche e formative per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio, valutazione e autovalutazione;
  • svolge attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola, connessa ai processi di valutazione e di autovalutazione delle istituzioni scolastiche;
  • assicura la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo, rappresentando il Paese negli organismi competenti. 


Le pannocchie bollite – come farle in casa

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Le spighe bollite! Quando l’estate è ormai iniziata, mangio sempre volentieri questa squisitezza per strada; infatti dalle mie parti, nella bella Castellammare di Stabia, è facile trovare i venditori ambulanti che le stanno preparando in quegli enormi pentoloni.
E non puoi immaginare quanti venditori ci sono a Napoli!!
Parlando con delle care amiche, un giorno, salta fuori che non hanno mai fatto le spighe di mais a casa perchè non sanno come si cucinano.
Stupefatto riporto questa mia esperienza a casa e la risposta è: “sai che non tutti sanno vedere quando la pannocchia è cotta al punto giusto?”
Ed ecco che allora ho scritto per te caro lettore questo post.
In quest’articolo cucinerò le spighe di mais bollite (altro metodo di cottura è cuocerle alla brace, ma per questo mi riservo di scrivere un articolo dedicato più avanti).
 
 
INGREDIENTI:
  • pannocchie;
  • acqua;
  • sale fino;
PROCEDIMENTO:
Si parte iniziando a pulire per bene le pannocchie, prima eliminando le foglie esterne, poi la “barbetta“ 
Forse non sai che gli stili (che qualcuno definisce anche capelli) vengono utilizzati in medicina perchè hanno proprietà analgesiche ed emollienti.
 
 
ed infine occorre sciacquarle per bene sotto acqua corrente fredda. Per comodità ti consiglio di tagliare anche la base senza lasciare traccia dell’estremità.
 
 
Ora potete mettere a cuocere le spighe in una grossa pentola con acqua.
Prima di procedere ti consiglio di verificare prima che entrino tutte nella pentola; inoltre l’acqua deve ricoprirle e la pentola non deve essere troppo piena di pannocchie.
Sala leggermente l’acqua.
Personalmente “tuffo” le spighe in acqua già in bollore (in questo modo le spighe non perderanno il loro sapore).
Riportate a bollore l’acqua con fiamma alta e poi regolate a fiamma media.
 
ORA PARLIAMO DEL FATTORE TEMPO: quanto devono cuocere?
 
 
In giro sulla rete troverete di tutto: dalle 2 ore ai 10 minuti.
La verità è che tutto dipende dalle caratteristiche delle spighe che avete comprato.
Quindi, ti suggerisco di farle cuocere almeno 20 minuti e di verificarne la cottura infilzando una forchetta nel torsolo: se penetra fino in fondo senza troppo sforzo sono cotte. 
A questo punto, spegni la fiamma e lasciale intiepidire nell’acqua di cottura (non toglietele dall’acqua altrimenti diventeranno dure). Il mio consiglio è di non spingere troppo la cottura (cioè la forchetta non deve penetrare con troppa facilità nella spiga) ma spegnere la fiamma in tempo.
 
 
Non esiste una cottura precisa, c’è a chi piace più morbida ed a chi più al dente (come piace a me).
Quando saranno intiepidite, puoi scolarle, salarle leggermente e mangiarne a tonnellate!!!!! :)
NON PUOI RINUNCIARE A PREPARARE 
IN CASA QUESTA GUSTOSA MERENDA ESTIVA

TIC e Tecnologie didattiche nella scuola di oggi

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Nella didattica la sigla T.I.C. sta per Tecnologie dell’informazione e delle Comunicazione ovvero l’insieme di tutti gli strumenti tecnologici che l’insegnante impiega per supportare i processi di insegnamento\apprendimente…..anche quando questi strumenti inizialmente non sono mai stati pensati\progettati per usi dichiaratamente didattici.
 
esempio: le email non nascono come strumento didattico ma molti insegnanti le usano per comunicare con i proprio alunni inviando materiale didattico. L’email diventa quindi uno strumento che supporta attività educative.

Faccio  una premessa: per la mia modesta esperienza nell’insegnamento in Istituzioni pubbliche (ad oggi 9 anni) posso affermare che all’interno delle scuole italiane purtroppo molti insegnanti fanno ancora resistenza nell’uso di tecnologie informatiche.

Eppure l’informatica ha fatto passi da giganti (device sempre più performanti e sistemi operativi tanto intuitivi da essere utilizzati da bambini di due anni).

Alcuni docenti parlano di tecnocentrismo e di quanto le nuove tecnologie possono allontanare l’insegnante dalla sua vera missione……..non esiste affermazione più sbagliata.
Un buon insegnante riesce sempre a usare in maniera ottimizzata e performante le TIC ed tararli in base agli obiettivi nell’attività educative. Questo perchè sa benissimo che al centro della propria attività ci saranno sempre i bisogni dei propri studenti.
Come scegliere quali tecnologie utilizzare in classe? 
Occorre innanzitutto effettuare un’accurata pianificazione didattica che permetta di identificare cosa usare a supporto del processo insegnamento\apprendimento.
L’approccio corretto è quindi quello di analizzare sempre i bisogni dei propri discenti (siano essi formativi, cognitivi,  psico-sociali). In questo modo il docente riesce sempre ad orientarsi ed a pianificare la propria didattica (definendo obiettivi, contenuti, metodologie, ecc.) e identificando quindi quali strumenti tecnologici possono donare quel valore aggiunto necessario nella scuola di oggi, quel valore che permette di facilitare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
 
LA TERMINOLOGIA CORRETTA
Se con la sigla TIC identifichiamo gli strumenti, con il termine Tecnologie Didattiche ci si riferisce invece all’insieme delle metodologie (ed anche degli strumenti tecnologici) per la progettazione, sviluppo, utilizzazione, gestione e valutazione di processi e risorse per l’insegnamento e per l’apprendimento.
 
E’ evidente quindi che se parliamo di TIC nella didattica diventa quindi necessario ed inevitabile incrociarle con le TD (tecnologie didattiche).
In quest’articolo capiremoquali sono le tecnologie didattiche più utilizzare oggi nelle scuole italiane e come è possibile ottimizzarne l’uso.

Perchè un insegnante usa le risorse tecnologiche?
Perchè un buon insegnante è una persona resiliente e con una mentalità lucida e moderna e sa benissimo che le TIC offrono grandi opportunità di crescita al proprio studente (ed a se stesso, aggiungo).

QUALI SONO QUESTE TECNOLOGIE?

Premetto che cercherò di essere molto chiaro e di utilizzare termini semplici ma, caro prof, devi farti “anima e coraggio” ed iniziare ad imparare la terminologia informatica (non tutto, solo quello che ritieni utile per te).
Le tecnologie più utilizzate nella scuola sono:
  • ipermedia;
  • software didattico;
  • tecnologie web

=> GLI IPERMEDIA
Per IPERMEDIA intendiamo un ipertesto arricchito di audio, immagini e video.

Come si produce? 
Utilizzando appositi programmi:
  • compilatori HTML come il buon vecchio FrontPage;
  • programmi di videoscrittura come Word e Pages;
  • programmi molto più performanti come iBooks Author (solo per citarne uno);

Differente dall’IPERTESTO che invece è un testo non sequenziale in cui ogni fruitore sceglie come percorrere la lettura. Puoi compiere dei “saltelli” utilizzando i “collegamente ipertestuali” (i link).
Possiamo tranquillamente affermare che il WEB è un contenitore di tanti ipertesti.
Dove possiamo trovarli? Vengono distribuiti su CD allegati ai testi scolastici, scaricabili via internet tramite link oppure disponibili gratis sui blog di insegnanti come me.

La mia esperienza con gli Ipermedia 

Insegno cucina (se mi segui da tempo è una cosa che già conosci

Linee Guida per i Licei – documenti scaricabili gratis

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Dove posso trovare le linee guida per la mia disciplina?
Ovviamente qui, su RISTORAZIONE CON RUGGI un blog scritto da un insegnante per tutti.
Le linee guida, come ben sai, sono suddivise in base a spedifici settori.
Cerca il settore a cui appartiene la tua scuola, all’interno del documento troverai le diverse discipline (e quindi anche quella che cerchi).

In questo post puoi scaricare gratuitamente i documenti che ti interessano (da PC click con tasto destro e SALVACON NOME)

Altri documenti utili per i Licei:

    All’interno della rubrica “Insegnare è un lavoro di cuore” puoi trovare documenti, relazioni e schemi, normative a tanto altro. CLICCA QUI

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    Linee Guida per gli Istituti Tecnici – documenti scaricabili gratis

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